Ce ne son stati avvenimenti adorabilmente razzisti, in questa settimana. Ci s’è messo il buon Edoardo Costa, uomo di merda mica da poco, e ci si son messi tutti i simpaticissimi animalisti in favore del povero cane Lennox (sia chiaro, a me i cani piacciono e trovo assurdo abbattere un povero esemplare solo perché appartiene ad una razza dichiarata pericolosa), tutti presi a dare degli incivili all’intero popolo irlandese minacciando di boicottare la ridente isola per le loro misere vacanze di cui non fotte una sega a nessuno, dimenticando quindi che noi italiani siamo a nostra volta considerati degli incivili per aver eletto Berlusconi; ah, ma voi siete per l’occhio per occhio: altro motivo per cui vi meritereste il riconoscimento di Razzista del giorno.
Ma stavolta, da bravo rompiscatole, ho voluto scavare nella coscienza di tutti voi, e scovare quella piccola scintilla di razzismo che alberga anche nel meglio intenzionato dei miei lettori: il (non) uso della parola negro. Già, perché quella fastidiosa g nel mezzo della parola, già usata normalmente in qualunque libro di testo e nelle opere letterarie di qualunque scrittore italiano, dai tempi del politically correct ha cominciato ad essere evitata ad ogni costo. Certo, l’accezione ormai è negativa che più non si può, e non starò di sicuro a far crociate per riabilitarne l’uso, ma la faccia scandalizzata di ognuno di voi quando dico negro, arrotando bene la r per valorizzare ancora di più la g, è per me motivo di diletto. È un po’ come il non capire perché Morgan Freeman si sia apertamente schierato contro il mese dedicato alla storia afroamericana, negli USA, dichiarando quanto sia ghettizzante. Se non ne capite il motivo, beh, non potete che essere il Razzista del giorno.
[E.P.]