(A. D’Ippona) Dicesi miracolo un evento prodigioso, opera di Dio (in prima persona o tramite l’intercessione di qualche santo), che appare svolgersi in contrasto con le leggi naturali.
Questo almeno secondo la chiesa cattolica, le altre sette non so cosa dicono ma credo che la mela non caschi tanto lontana dall’albero (anche se, in questi casi, non casca nemmeno in capo a Newton).
Dicesi invece santo un uomo che in vita si è distinto per l’esercizio delle virtù cristiane in forma eroica o per aver dato la vita a causa della fede.
Al giorno d’oggi, che siamo progrediti e non siamo mica più una massa di creduloni illetterati come nel medio evo, per essere santo devi aver fatto almeno un miracolo.
In che senso? Vediamo!
Qualcuno deve aver pregato l’aspirante santo, e questi deve aver risposto alla richiesta con un evento inspiegabile e “prodigioso” (il miracolo, appunto). Questo viene ritenuto dalla Chiesa una prova inequivocabile che la persona è in Paradiso e di là può e vuole soccorrere i vivi.

Sopravvolerò anche sul fatto che, se una cosa non riesci a spiegarla, che sia automaticamente opera di un intervento divino è un filino illogico. Perché il bimbetto con la meningite è guarito, e tutti gli altri per cui la gente prega no? Perché affidarsi alle cure mediche, allora? Non sarebbe meglio pregare e basta?
Ma no, lasciamo stare tutte queste domandacce cattive, che insinuano il dubbio che i miracoli siano stronzoli caàti a forza, specialmente nei casi tipo Lourdes, in cui le guarigioni prodigiose hanno una frequenza più bassa delle guarigioni spontanee in condizioni normali, e diamoli per buoni senza farci venire dubbi inutili.
No, la mia riflessione è un’altra, e – mi spiace – ma diventa pure seria.
Tempo fa ho avuto la fortuna di trovarmi per lavoro nella stessa stanza con Muhammad Yunus, premio Nobel, inventore del microcredito e della Grameen Bank. Questa banca, nata negli anni ’70 in Bangladesh, concede microprestiti ai poveri (soprattutto donne) senza richiedere garanzie collaterali, permettendo l’avvio di attività lavorative, basandosi sull’idea che i poveri abbiano attitudini e capacità imprenditoriali sottoutilizzate, e sulla fiducia. Sembrava impossibile, ma aiutare chi ha bisogno non con la carità, ma in modo da resituire dignità a chi non ha mezzi – economici, tecnici, formativi, legali – per avviare e far fruttare una piccola attività, ha funzionato: la Grameen Bank oggi ha oltre mille filiali, con oltre due milioni di clienti, e l’organizzazione non è in perdita: il 98 per cento dei prestiti viene restituito.
Ma mi vengono altri mille esempi: Sir Alexander Fleming, il medico britannico, anche lui premio Nobel, che ha isolato la penicillina, o Gaston Ramon che ha posto le basi per sviluppare il vaccino contro il tetano o i meno conosciuti Cormack e Hounsfield, che hanno inventato la tomografia assiale computerizzata.
Non so quanta gente ha ricominciato a vivere, ha ritrovato la dignità di un lavoro, fornendo supporto a sé stessa e alla propria famiglia, grazie al microcredito. Né quante persone si sono salvate grazie agli antibiotici o a un’iniezione antitetanica, o quante malattie sono state curate perché identificate in tempo grazie a una TAC, ma di una cosa mi dolgo: sarebbe bastato poco, se non per caso per astuzia, per fare il salto di qualità… un’apparizione in sogno, un bel delirio febbrile, un paio di prodigiose ferite sulle mani, magari qualche aggancio, un’acclamazione popolare! Bastava così poco, e e sarebbero santi pure loro, anzi: iper-santi! Con tutte le vite che hanno salvato…
E invece ci tocca ricordarceli così: solo, e meravigliosamente, uomini.
[M.V.]
Una risposta a "Caàti a forza"