Lungo e nero

“La nostra azienda ha da sempre avuto grande rispetto dei diversi habitat naturali con cui interagiamo e con tutti gli attori dell’ecosistema, dalle piante, alle risorse idrogeologiche, ai negri.”
(S. Jobs)
C’è una roba che mi porto dietro dalla post-adolescenza. E non parlo del fatto che mi piace masturbarmi quotidianamente. Dal periodo in cui ero fanciullescamente e genuinamente contro un sacco di cose (vabbé, non che adesso…), e spesso per partito preso, mi è rimasto un odio antico e sincero per la Nestlé. Di cui peraltro s’è occupato tangenzialmente il Bertini col suo cliccatissimo pezzo “Finezzo Lungo”, dedicato al pessimo marketing che l’azienda adopera per far sembrare del caffé scadente una roba di classe.
Stamattina ho letto un articolo di qualche giorno fa su un’automobile a caffé, che con 70 chili di caffè ha percorso quasi 400 chilometri.
E grazie al cazzo, con 70 chili di caffé me la faccio anche appiedato.
Correndo.
Insomma, ho letto questo articolo, m’è rivenuto in mente il Finezzo Lungo, la Nestlé, l’odio atavico, ed eccomi qua.
nesquirt
Lungi da me il sostituirmi a Jean Ziegler, ma già che ci sono voglio spendere due paroline sul colosso dell’alimentazione che riesce a spargere chili di merda su concetti etici di base un po’ ovunque nel mondo.
Come sapete, e se non lo sapete ve lo dice l’Unicef, l’allattamento al seno aiuta moltissimo a prevenire le malattie infantili, dato che i bambini ricevono una protezione extra dagli anticorpi, da altre proteine e dalle cellule immunitarie che si trovano nel latte materno.
Questo è particolarmente importante in paesi come l’Africa: l’allattamento al seno è una specie di “terapia” gratuita per diminuire la mortalità infantile. E’ una cosa importante, tanto che esiste un codice di comportamento per la vendita di latte artificiale – l’International Code of Marketing of Breast-milk Substitutes – redatto dall’UNICEF e dall’OMS, adottato nel 1981 dall’Assemblea Mondiale della Sanità.
Indovinate chi se ne sbatte il cazzo del codice di comportamento?
“La Nestlé!”
Sbagliato.
Cioè sì, la Nestlé se ne è strafottuta, ma non solo: lo hanno fatto anche tante altre case produttrici come Gerber, Milupa, Chicco, Johnson & Johnson, e altre meno conosciute in Italia. Ovviamente, questo non vuol dire che il latte artificiale è il male o è sbagliato (ci sono casi, come quelli in cui il latte materno è infetto, per esempio a causa dell’AIDS, in cui bisogna usare il latte artificiale), ma che consigliarlo sempre e comunque al posto dell’allattamento naturale, ovviamente per trarne profitto, è da stronzi.
Le ultime infrazioni al codice sono di qualche anno fa, la Nestlé ovviamente sta conducendo campagne riparatorie, ma è bene tenere gli occhi aperti.
Ci sono poi i casi “minori” (che trovate su wikipedia o su qualsiasi sito dedicato), come la causa da 6 milioni di dollari contro un’Etiopia in piena carestia (convertita in fretta e furia in 1,6 milioni di dollari da devolvere per la lotta alla fame dopo una mitragliata di proteste e insulti vari), o il caso venezuelano della Nestlé Purina, colpevole di aver immesso in commercio tonnellate di cibo per animali contaminato, con un bilancio di oltre 400 fra cani, gatti, e altri animali avvelenati a morte “per errore”, o ancora le politiche aziendali creative riguardo l’uso di cibo transgenico per l’infanzia o le accuse di usare cellule embrionali renali umane in alcuni prodotti (di quest’ultima però fatico a trovare prove concrete, quindi sospendo il giudizio).
Fin qui siamo di fronte a un’azienda spregiudicata e bastarda come ne esistono tante. Nel 2005, però, arriva una denuncia da parte di ILRF e Global Exchange per l’uso di lavoratori, anche minori, costretti a lavorare ai limiti, quando non oltre i limiti, della schiavitù.
L’accusa è pesantissima, e rincarata dal fatto che il protocollo Harkin-Engel ( che impone la certificazione che il cacao prodotto non è ottenuto tramite l’uso di manodopera minorile, debitoria, forzata o proveniente da traffico di esseri umani) viene seguito in maniera, a tratti, anche no.
Trattandosi del più grande colosso dell’alimentazione, ovviamente, le accuse vengono solitamente attutite, deviate, risolte in qualche modo, anche se sembra che la Nestlé abbia l’inquietante tendenza a occuparsi di certi problemi solo dopo che scattano le denunce.
Personalmente credo che la realtà possa essere, alla fine, meno peggio di come la dipingono gli accusatori ad oltranza, e allo stesso tempo molto meno rosea di come la descrive la Nestlé.

Di sicuro c’è che il colosso svizzero ha subito attacchi pesanti e reiterati nel corso del tempo, e che le difese messe in campo sono spesso sembrate tardive, raffazzonate e insufficienti (lo stesso sito ufficiale è su alcune questioni convincente come Bondi alla Cultura). E di sicuro c’è anche che la Nestlé – come molte altre multinazionali – sfrutta manodopera a basso costo e lavora in paesi dove i controlli sia sulle condizioni di lavoro, sia sulla qualità e sulla salubrità dei prodotti sono approssimativi quando non assenti.

Per questo, personalmente mi sono imparato a memoria la lista dei marchi del gruppo, e nel dubbio quando faccio la spesa prendo altro, magari roba a chilometri zero che è meglio. Così mi sento un po’ meno in colpa, ché tutti i giorni lavoro con roba della Apple.

[M.V.]

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