Morto Giulio Andreotti.
Era una cosa che aspettavamo da così tanto che per distrarci nel frattempo ne abbiamo trovato un altro, ma è stato come passare da Totò a all’ultimo Colorado.
Tra i numerosi “coccodrilli” apparsi forse quella che vedete qui sotto è stata la migliore sintesi di un’esistenza che al suo termine lascia un segno importante sulla nazione, una specie di elegante cicatrice rigonfia di escrementi:
Non vorrei essere l’ennesimo nel codazzo di quelli che devono dire la loro su Andreotti ora che è morto, magari stando lì a ribadire che avrà fatto anche cose buone, ma diamine, era proprio uno con cui condividevo un sacco di cose.
Ad esempio la filosofia, quel modo di preoccuparsi di tutto senza essere preoccupati per nulla, l’eleganza nel comunicare “‘sti cazzi” in parole socialmente approvate mentre si è invischiati nella melma fino al collo. E la gobba non aiuta.
Baciare un mafioso mentre si governa lo stato e trovarsi a proprio agio in entrambi i ruoli, in entrambi i momenti.
Mandare il paese a donne perdute e far esclamare ancora anni dopo “eh, si stava meglio quando si stava peggio”. Poi giungono D’Alema, Berlusconi, Carfagna, Borghezio, Grillo, etc. e va a finire che diventa vero quanto “piove, governo ladro”.
Sono nato che Giulio era sessantenne e già più che impegnato nel gruppo di uomini che guidano il paese, anzi, aveva quasi smesso, quindi nell’età della ragione ho trovato già scavato un solco che mostrava le interiora della società. Scavare quel solco deve avergli conferito quella “buffa postura”, come l’ha Andreottianamente definita il buon Valtriani, ma ha concesso a me la possibilità di sviluppare un senso critico verso la civiltà, proprio come i preti mi hanno concesso la possibilità di capire la cazzata della religione.
Per questo, oggi, posso rivelarvi una grande verità, dirvi esattamente quello che vi direbbe Giulio.
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[D.C.]
“Andare a donne perdute” potrebbe facilmente superare l’amatissimo “non mi piace al cazzo”.
[D.C.] è la firma più adatta per un articolo su Andreotti.
Cordialmente,
[A.N.]
(È la mia sigla (seriamente), ma non me ne vanto)