I tre tipi di alternative model che hanno rotto i coglioni

ostruzioni

Mi risulta che il web abbia accolto molto bene questa cosa della borsetta da uomo. C’hanno visto tutti un bel messaggio sociale. Tutto molto dolce. Peccato che fuori dal web e giù dalle passerelle, siamo il primo paese con nazismo omofobo level extreme. Tant’è.

Restiamo in tema moda, modelli e costumi. Excursus necessario, breve e indolore. Tra fine anni ’80 e primi anni ’90 la modella ha la faccia della Shiffer. Della Crawford. Della Macpherson. Perfezione assoluta. Stessa posa. Più denti che anima. Poi una prima botta de vita. Mentre i Nirvana imbrattano la musica di tinte grunge, una certa Kate Moss fa lo stesso in ambito moda: presa d’aria fra i denti, fisico da genocidio, sguardo a metà tra una sindrome e la fattanza perpetua. Strappa un contratto e ribalta le regole della copertina alla barbie. Nonostante ciò, negli anni, anche lei si conforma alle richieste dei grandi marchi. I canoni sono stati scossi ma non stravolti.

È solo nei primi anni 2000, con il fenomeno americano delle Suicide Girls, che la missione anti fotomodella-perfetta si mette davvero in modalità ON. Un portale nel quale si rivoluzionano sia i cliché della ragazza con sorriso a paralisi, sia lo stereotipo della platinata e giunonica playmate, sia le regole del ritratto fotografico tradizionale. Parte la controtendenza anarchica. Nasce una vera vetrina per modelle e foto fuori dagli schemi: dark, punk, piercing, capelli sconvolti, un’imbarcata di tatuaggi e assoluta libertà nell’esprimere la propria sessualità davanti all’obbiettivo. Ok, forse la moda è ancora in mano alla perfezione tradizionale, sta di fatto che – qua e là – alcuni cartelloni pubblicitari, spot e video musicali, iniziano a mostrare volti Suicide.

Inutile negare il potere del web nella diffusione di questa controtendenza. Bene. Ora vi chiederete: ma tutta ‘sta manfrina, in che misura diventa un fracassamento di balle per noi social-naviganti? Il disagio nasce quando – un bel giorno – si sono svegliate tutte alternative models. Invasione totale. Pagine ufficiali e gruppi di modelle alternative come piovesse. Tutto sulla scia (chimica?) delle Suicide. Pose da pin up, selfie e migliaia di foto che nemmeno tutta Magnum se mette insieme l’archivio dal 1947. Deleteria fu la combinazione a catena smartphone-Instagram, Instagram-Facebook, Facebook-fotografi. Grazie alla vetrina da social, e grazie al fatto che ormai ci siano più fotografi in rete che nullafacenti in vaticano, le prime vere alternative models sono imitate ed emulate da qualunque ragazzaccia abbia voglia di mostrarsi. I peggio tatuatori hanno liste d’attesa da sei mesi all’anno. Della serie “le agenzie non mi cacano? fa niente, mi riempio di tattoo e faccio la modella presso me stessa”.

Cazzo è ‘sta cosa del presso me stessa? Ve lo dico io: la voce più tossica tra le info di Facebook, che fa pensare a tutti di poter far tutto. In questo caso, regalarsi ai peggio fotografi diventa una professione. Come se i tatuaggi e le labbra protese in avanti trasformassero automaticamente in modella. O – nel caso del fenomeno maschile – se barba e addominale rendessero per forza suggestivi alla vista. No, santiddio, non funziona così. Ok la libertà. Ok non farsi condizionare dagli standard della perfezione, ma un conto è stare bene con se stessi, un conto è convincerci che siete tutti modelli bombardandoci di merda. Nonostante ciò, ho l’infausta consapevolezza che ottiene più like un pelo pubico mostrato, che un carro di cose da scoprire. E so anche che un like a un perizoma non lo nega nessuno. Ecco quindi che, quando oggi apri la Home, annaspi anche senza volerlo fra tette e culi, che molto spesso sono una via di mezzo tra mostra del budino cameo, oscar per la peggio fotografia o tatuaggio, e ricercati dell’Isis. Come se piercing e tatuaggi donassero invisibilità all’obbrobrio fisico che a volte c’è sotto, o l’HDR facesse ottenere l’occhio alla McCurry (rivedi link Magnum). Il fenomeno alternativo è ormai fenomeno di massa. Il contro stereotipo è diventato il nuovo stereotipo. E, in molti casi, senza alcun contegno e auto osservazione.

Detto questo, oggi vedremo quali sono – nell’oceano di “alternative models genere femminile” – quelle che più fanno peso su ovaie e maroni, e che dobbiamo sturare.

Riassumo la top three

1. L’alternative model accanita abbestia contro la modella tradizionale.

Questa categoria mi sa sempre di volpe-uva-acerba. Se vai davvero fiera del tuo metro e cinquanta, dei tuoi tatuaggi e delle tue tette cedenti e non rifatte, non scassarci le palle tutti i giorni con post e commenti su quanto non serva essere perfetta come tizia, pagata come caia, finta come sequoia (sempronia non mi garba). Insomma, rilassati e continua a sostenere il messaggio sociale anti-perfect, quello secondo cui pose porno-acrobatiche e tatuaggi, sono ciò che serve per un bel ritratto. Anche perché se non ci credi tu per prima, capirai cosa posso dirti io per incoraggiarti. In sostanza – se proprio devi – fai ciò che ti piace senza pensare alle avversarie. O il messaggio free-punk… mi casca alquanto.

2. L’alternative model che sente la fottuta necessità di scomodare citazioni di poeti e filosofi quando posta le proprie foto di ignudo.

Ecco, se non ti senti a posto con la tua coscienza a causa delle tue scelte, non è colpa nostra. Tantomeno di Oscar Wilde, Baudelaire, Nietzsche, Platone, Saint-Exupéry, De Carlo. Nella vita potevi fare della maieutica o della ragion pura, se avessi voluto filosofeggiare in pubblico. E invece hai scelto di fare la dirty model. Fallo pure in serenità. Per carità, tutti contenti se hai pure passioni e cervello, ma evita – per i santissimi atomi di Democrito – di farci passare una foto con figa poggiata su un frullatore, come il modo per comunicare al mondo la tua fenomenologia dello spirito. No, è una figa sul frullatore. Hai fatto un set sul piano cottura, a cavalcioni su un potente kenwood colorato, e quindi non mi aggiungere sonetti e aforismi, che mi fai salire l’intransigenza.

3. L’alternative model con isteriche manie di persecuzione.

Questa potrebbe essere la degenerazione della prima tipologia descritta. Premessa: quando si divulga ciò che si fa, si sta sulle balle di qualcuno. Regolare e innegabile. In alcuni casi, però, certe social-modelle sviluppano paranoia con picchi di isteria. Alternano quindi i bilioni di set e di selfie, a post melodrammatici rivolti a una persona, a una nemica, o direttamente ad Al Quaeda, lamentando il classico concetto: “mi segnali perché mi invidi” “mi spezzi ma non pieghi” “sei una catto-bigotta” et simili. Questo piagnisteo – probabilmente esasperato con arguzia – provoca la venuta dei difensori della gnocca-vittima. Tutto ciò, se ripetuto ogni mattina, ci sta sulle gonadi esattamente come le giornate mondiali, i bugiardini che non si piegano mai più come li hai trovati, e il 10, 9, 8,… urlato a Capodanno.

Ne usciremo? Quando ci sono di mezzo pizzi e mazzi (ma anche sticazzi), il pessimismo cosmico mi assale. Le modelle presso me stessa conquisteranno il mondo, insieme agli hipster che fanno gli apericena con stuzzicherie.

Se potessi parlare con l’avido Mark suggerirei un solo tasto, di fianco al Mi piace:
il tasto
WTF? (what the fuck?).

Detto questo, sappiate che da oggi non guarderete mai più un frullatore con gli stessi occhi. Chiedo venia.

Sturate, gente, sturate.

[M.C.]

 

16 risposte a "I tre tipi di alternative model che hanno rotto i coglioni"

  1. Bell’articolo.Mi piace il tono,ma.

    1) Tutti fotografi. E’ inevitabile,ed è un bene.
    Che sempre piu persone imparino ad utilizzare e produrre immagini è auspicabile.La cultura non è fatta di sole vette.Ma anche da una diffusione delle sue pratiche, nel produrre o guardare immagini.
    Se qualcuno vuole recintare il territorio in nome di una supposta “qualità” lo fa per difendere il SUO territorio, non la qualità.
    Piu persone fotografano , piu la cultura dell’immagine, inevitabilmente si sviluppa.
    Se poi qualcuno vuole credersi professionista o qualcos’altro sinceramente, non mi interessa.Si creda quallo che vuole.

    2) Tutte modelle.E’ inevitabile ed è un bene.
    Anche posare come modella, come il fotografare risponde ad esigenze umane comprensibili.
    Piu persone posano , meno il ruolo della “modella” verrà vissuto in maniera distorta, elitaria, ed escludente.
    Se poi una ragazza di 1,50 , robustina, posa per farsi fotografare, in quel momento E’ una modella. E’ una persona che posa per qualcun’altro.
    Vive il ruolo di modella come gratificazione personale? Bene.
    Basta che non giudichi le altre.Se non vuole essere giudicata.
    Se gli standard di mercato ( quello specifico, moda ) chiedono altro.pazienza.
    Il mercato non è solo moda.
    Il mercato è il mondo intero, per fortuna.

    Faccio il fotografo professionista da 30 anni.
    Spero che il mio lavoro venga giudicato per quello che produco, e non perche sono professionista.
    Ho fotografato modelle “non professionali” a bizzeffe.
    Spero vengano giudicate da come sono venute in foto, non per il fatto di essere..alte o basse, grasse o magre, professioniste o non.
    Quello che conta è la foto.

    Il resto , le diatribe, fotopro vs amatori, alternative model vs “normal”…a che servono ? A chi servono?
    Le definizioni a chi servono ?

    Buon lavoro,
    Fabio

  2. Purtroppo i wannabe hanno invaso qualunque settore grazie agli strumenti multimediali in genere. Io il discrimine qualitativo lo faccio eccome, nel mio campo (la scrittura). Non ci si sveglia da un giorno all’altro credendosi scrittori senza un necessario background di letture, una solida documentazione, una cultura dietro che va sviluppata PRIMA di cimentarsi nell’ambito, non POI. I like facili, e sopratutto i soldi facili, fanno gola. Per carità, è indubbio che il percorso artistico di ognuno sia costellato di errori, cantonate, fallimenti e chi più ne ha più ne metta: io ne ho fatti a bizzeffe, e già riconoscerli è un bel passo avanti. Ma questa democratizzazione universale di ogni forma espressiva, giusto perchè esiste internet, mi disgusta abbastanza. Io non metto becco in cose in cui so di non poter sostenere un dialogo argomentato: e in ogni caso, se lo facessi, non pretenderei la legittimazione al pari di chi, in quell’ambito, ci ha speso anni della sua vita. La diffusione di massa di una qualunque cosa ha sempre portato il livellamento verso il basso, non il contrario.

    1. Se scrivi come commenti non usare paroloni come DEMOCRATIZZAZIONE UNIVERSALE, potresti perdere il lettore per un silenzioso svenimento causato dalla noia che il perenne clichè dello scrittore/intellettuale/sbarazzino/su un altro livello rispetto agli altri, fornisce puntualmente alla lettura di questo lessico forbito, esasperato che fa della complessità apparente una maschera per una semplicità concettuale quiescente.

  3. Noi italiani se non critichiamo e ce la prendiamo con qualcuno per sentirci meglio con noi stessi non siamo contenti. Mi trovi d’accordo ed in disaccordo su molte cose. Che strana sensazione!

    Scusa, ma se vedi solo tette e culi sulla tua ‘Home’ si vede che è il panorama che segui e col quale interagisci. Nella mia home di tette e culi non ne vedo molti.
    Poi se la tipa fa la foto sulla macchina da cucina e se ne vanta, anche se 1) mi fa invidia 2) mi fa anche un po’ pena – quasi mi dispiace per lei… Ma non aveva di meglio da fare? E 3) mi fa ridere…
    Alla fine dei conti, concludo quasi sempre con un “oh.. Contenta lei… Tanto di cappello”…
    Lo stesso vale più o meno per le free punk che in realtà passano la vita a paragonarsi alle non free punk e cercare conferme e validazioni del loro essere ‘meglio’, o di chiunque scriva o riposti messaggi arcani ipoteticamente rivolti a presunti antagonisti.. Che cosa italiana… Il dramma… La passione… Però se stai a guardare, in rete trovi pressoché un’estensione della società che to circonda IRL – (in real life), e nonostante anche a me il prendere coscienza di certe tendenze e comportamenti faccia almeno inizialmente lo stesso effetto (ossia mi infastidisce fino a farmi contorcere lo stomaco provocando una scomoda sensazione di sconforto), non posso negare che in fin dei conti nessuno mi obbliga a collegarmi e in modo malsano mi piace anche.
    È vero, è sano, è genuino.
    Pseudo modelle, fotografi presso lor stessi e bloggers… Se ci pensi non sono poi tanto differenti tra loro. Non siamo tanto differenti tra noi. Siamo liberi di esprimerci e lo faremo sempre e dovunque ci sia un canale che ce lo permetta.

  4. Applaudo alla tua evidente idiosincrasia per tatuaggi e piercing. Ormai mi danno fastidio fisico, solo che se lo dico in pubblico, con la mia faccia, il mio nome ecc, non sono politicamente corretta. Salvo poi essere tutti Charlie.
    Solo che i tatuaggi e i piercing io li trovo abominevoli, che ci posso fa’?
    🙂

    1. Applauso non meritato, perché non c’è alcuna idiosincrasia verso tatuaggi e piercing. Ne ho più di quanto il mio avatar permetta di immaginarne. Non amo i tatuaggi per moda, fatti per mera estetica o fatti allo scopo del “mi rendo alternativa così poi faccio la figa”, quello no. Rispetto in genere chi se li fa e chi non li ama, senza necessità che la prima categoria o la seconda debba passare per sfigata o abominevole. Il discorso tatuaggi rispetto a questo articolo va interpretato e circoscritto a ciò che dice l’articolo. Non oltre.

  5. Precisazione di servizio: forse non usiamo tutti lo stesso Facebook. Su quello che uso io, quando i vostri mariti e fidanzati perfetti mettono like alle “tutte medelle del mondo”, sulla mia Home appaiono le foto in oggetto con annessa notizia “a Tizio piace tale foto”. Ecco perché, anche senza interagire o seguire per scelta certi “panorami”, inevitabilmente me tocca. Per il resto, fatevi serenamente due risate. Ma su tutto.

  6. Questi mariti e questi fidanzati sono esattamente il ‘panorama’ (mamma hai ragione che scelta di parole cazzuta) con cui interagisci tu. Ecco perché li vedi. Se non ci interagissi non li vedresti. I mariti e fidanzati (ed anche le mogli e fidanzate) con cui interagisco io cliccano su altre cose. Io preferirei tette e culi a dir la verità. Invece nel mio panorama ci sono i ‘catastrofisti’. Mi sa che è andata meglio a te ed io ho scritto dettata dall’invidia x

    1. Mi hai dato ragione per una cosa che non ho scritto. Davvero, non cerco la ragione quando ce l’ho per un sacco di motivi, figurati quando non mi interessa averla. Panorami andava benissimo.
      Saluti

  7. Io sono democratico, a me le modelle alternative fanno schifo quanto le “standard” … anoressiche di merda … vivono una vita da schiave, del cibo, del sesso, del peso, delle misure, di una banda di omosessuali che le vorrebbero “plastificate” a tutti i costi e … della bamba indispensabile a sopportare tutto questo… e da schiave che sono si presentano al mondo come modelle e … modelli da seguire … ma andate a cagare … mi fate schifo voi e il messaggio di merda che diffondete …

    1. Posto che non comprendo i commenti di chi pensai sia una cosa buona che molte persone vivano in relatà fittizie e di idealizzazioni di se stessi, credo che la cosa più tossica di tutte non sia “il voler essere” con la sua miserimma tristezza. La cosa peggiore è sottaciuta e si è insinuata in un grottesco gioco di deformazione del sano istinto alla ribellione ai canoni.PArlo dello stuolo delle gravemente obese, convinte di essere curvy.
      ragazze con evidenti eating disorders a rischio coronarico precoce che vengono spinte a sentirsi “a posto”( self confident…). un tempo si promuoveva l’anoressia ma poi “la moda” cambia: ora si sostiene con orgoglio la bulimia. ragazze esposte a rischi cardiovascolari, diabete e molte altre severe patologie immerse nel meccanismo di difesa più classico, quello della negazione che collude con la mandria di perversi che provando eccitazione le fomentano. Nessuno ancora secondo me si è avveduto visto l’entusiamo ingenuo in cui vengono accolte molte iniziative come sfilate dove a fianco a belle ragazze evidentemtne curvy, con solo qualche strato di grasso in più vengono affiancate ragazze di un metro e sessanta che pesano 115 kili…nessuno lancia un allarme in questo senso ma come si fece un tempo per i modelli pro ANA sarebbe l’ora che si prendesse coscienza che il problema non è per nulla sconfitto anzi si è irrobustito. pensate ad una sedicenne che sanamente si rende conto di non riconoscersi in un corpo severamente obeo al quale viene offerta l’alternativa di diventare amica della propria malattia. un abominio

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