A Milano un autista di Uber è stato picchiato e derubato da due tassisti.
No, non sto dicendo che sia ovvio che un tassista derubi uno che non sia suo cliente, ci mancherebbe che parlassi male di quella manica di fascisti prepotenti impiegati in un lavoro che potrebbe fare qualunque essere dotato di una qualsiasi combinazione di due arti funzionanti.
L'”E grazie al cazzo!” della settimana è invece ovviamente dedicato alla difesa dei diritti del lavoro.
Non è facile difendere il proprio lavoro dalla crisi, dalla sovrappopolazione, dalla totale mancanza di dignità della gente, dalla prepotenza economica, dall’egoismo imperante, dall’avvento della tecnologia, da leggi del cazzo e dall’incapacità manageriale di riqualificare e riqualificarsi. Soprattutto non è facile farlo immersi in un’opinione pubblica che stigmatizza gli “scioperi del venerdì”, anche definiti “weekend lunghi” o “giorni di ferie”, opinione pubblica formata per lo più da gente che non ha coraggio di scioperare e gente che non ne ha motivo, gente che non ha chiaro il concetto di ingiustizia né quello di ferie, evidentemente, gente che poi quando scioperano i tassisti “e però loro hanno pagato la licenza, lavorano in proprio ma sono costretti a seguire le ferree leggi del comune”.
Lo so, è il secondo richiamo ai tassisti, ma giuro che è un caso che mi tornino in mente nei giorni in cui la responsabile di Uber Italia è costretta a vivere sotto scorta per le minacce ricevute da quei principi azzurri che guidano bianche carrozze.
L’unica cosa che apprezzo dei tassisti italiani è che non fanno assolutamente nulla per risultare simpatici, in nessun frangente: da come guidano agli adesivi che attaccano sulle proprie auto, da come picchiano a come rapinano.
Seguito, picchiato e rapinato un autista di Uber. Ora mi rendo conto di quanto abbia sempre sottovalutato il loro avvertimento “don’t take an illegal taxi“.
Eppure dovrebbero essere evidenti i vantaggi qualitativi del servizio offerto da un tizio che può garantirti di essersi comprato la licenza, rispetto ad un tizio che non ha potuto.
Certamente non si propone di liberalizzare tutto da oggi a domani, ma qualsiasi mente uscita dal medioevo si renderebbe conto dell’inevitabile, e capisco la voglia di difendere il proprio posto nella Ka$ta, soprattutto quando la stessa è l’unica tutela di un’esclusiva altrimenti indifendibile (ehilà notaio!), ma avete pure rotto il cazzo. Le licenze possono essere risarcite, poi aperte al pubblico e aumentate a soddisfazione del mercato. E intanto alcune macchine si guidano già da sole, tra poco sarete utili come gli omini che spingono il tasto in ascensore. Cioè, per quasi tutti gli altri lavori questa cosa pare che sia andata bene.
Al limite un “imprenditore di sé stesso” saprà rinnovarsi e adattarsi al mercato.
Per gli operai delle ditte che i grandi manager hanno spostato all’estero ha funzionato, no?
La verità è che non vogliamo arrenderci a l’essere giunti a un livello di popolazione da “survival of the fittest”, ma nemmeno siamo più in grado di sostenere tutti. Viviamo quella fase grigia di negazione e spaesamento in cui o si affonda o emergono soluzioni creative, quella famosa crisi che dovrebbe fare di necessità virtù, in cui ciascuno tira fuori il meglio delle proprie capacità.
I tassisti menano.
E questo è certamente il primo modo per difendere (o riqualificare) il proprio lavoro.
Gli altri mille sono possibili in un paese in cui non sarebbe possibile il primo.
[D.C.]
Lei è molto arrogante e semplicemente ignorante. Non conosce nulla del servizio pubblico, nemmeno le norme basilari, ignora appositamente tutte le controversie inerenti a Uber che ci sono negli States, dove opera da più tempo e si permette di giudicare un intera categoria come il più becero degli ultras. Complimenti alla sua stupidità.
Un articolo ridicolo che meriterebbe una querela immediata. Lei sembra scrivere in stato etilico
Ammazza quanti tassisti che ci leggono.