Dormiamo troppo poco.
Al di là della preoccupazione per i nostri Marò (ovvero che quello tornato ricominci a sparare a caso), ci sono una serie di fattori che incidono in maniera cronica negativamente sulla qualità del sonno e quindi della vita e quindi della società e quindi delle pubblicità di Fiorello.
Pubblicati in rete i risultati di una ricerca che potete trovare nella classifica dei più cliccati tra “Tsipras, Merkel e l’11 settembre” e “Il gattino che fece ridere la madonna”. Da questi studi emergono dati preoccupanti e sorprendenti come l’eccessivo stress, gli orari del cazzo, l’abuso di luci artificiali (e non voglio sapere cosa ci facciate) e la depressione.
Non che l’analisi sia il mio forte, ma se dovessi riassumere, istintivamente, direi che il fattore lavoro potrebbe entrarci qualcosa, quel lavoro oggetto di ricerca spasmodica, di disperazione, di degradazione, di umiliazione e sottomissione, una roba che nemmeno nei miei più reconditi sogni erotici. Ma a dispetto di questo non siamo diventati una società pornografica bensì una società di disperati sempre meno capaci pure di arrangiarsi.
Che il lavoro sia un problema è indubbio, il lavoro è qualcosa da fare, e quando c’è qualcosa da fare vuol dire che c’è un problema da risolvere, e c’è sempre qualcosa da risolvere. Il vero problema, quindi, non è trovare qualcosa da fare, il vero problema è scucire le risorse per persone.
Non per tornare a questo punto sull’argomento “controllo demografico porca puttana che siamo miliardi e consumiamo come… esseri umani, cazzo, come fottuti esseri umani”, ma è chiaro che all’aumentare della popolazione e al diminuire della forza lavoro necessaria per gestire l’attuale sistema produttivo, quello che stiamo creando è una riserva di carne umana, che, al momento, non va nemmeno tanto forte sul mercato.
Come ci dimostrano gli assegni di disoccupazione, più o meno consistenti a seconda del grado di sviluppo, la necessità primaria non è il lavoro, bensì il denaro. La nobiltà del lavoro sarà certamente morale, anche se l’unica cosa di cui mi fanno sentire re le mie otto ore di fabbrica è qualcosa che non vorreste condividere con me, ma la soddisfazione morale non è ciò di cui hanno bisogno persone che non sono nemmeno in grado di capire che arrivare a pagare per lavorare non è una buona idea.
D’altra parte anche il concetto del lavoro utile si perde tra sovrapproduzioni industriali e mancanza di genio, tra un’istruzione sempre meno considerata e una formazione sempre più superficiale.
Eppure siamo in grado di sostenere economie completamente superflue come quella omeopatica e quella religiosa. Capisco che non a tutti piaccia fare sesso con dei bambini, o truffare i clienti con roba tagliata male, ma si potrebbe fare un sacrificio e, per un certo periodo, ripiegare su questi mercati per trovare lavoro, in attesa di un deciso decremento della popolazione e un ritorno al “minchia mi servi a qualcosa!”.
Detto questo, magari continueremo a non dormire abbastanza, magari passeremo ancora le notti a fare altre cose, magari cose che non siano piangere, se non per i nostri Marò.
[D.C.]