Migrante in mare.

collodipapero

Ogni tanto ringrazio Darwin, che seppur indirettamente mi ha donato la capacità di scegliere accuratamente chi seguire sui social, risparmiandomi una serie infinita di rotture di cazzi, come le condivisioni di bufale o di insopportabili catene di sant’antonio su privacy, iphone gratis e condividi se hai un cuore. I miei contatti, o almeno quelli che ho scelto di seguire, sono oltremodo virtuosi, e a questo giro mi hanno anche risparmiato il vedere e il rivedere l’ennesima foto virale sui bimbi, migranti, morti in mare.

Non inserirò foto neanche nell’articolo, tanto le avete già viste, magari le avete anche condivise, o perché vi sembrava la cosa giusta da fare “per sensibilizzare”, o perché siete leghisti e avete salvato sul desktop l’intero album, per masturbarvici con calma in un secondo momento. Un fugace amplesso solitario da due-tre colpi, uno di quelli a cui ormai vostra moglie è tristemente abituata.

Chi ha postato o commentato quegli orridi scatti spinto da qualcosa di diverso da un bilanciato mix di bestialità e ritardo mentale, come dicevo, sostiene che sia un dovere mostrare un certo tipo di immagini per colpire allo stomaco i propri contatti. Eppure non riesco a non vedere qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, mi ricorda le immagini degli animalisti che condividono a raffica foto di mattatoi e di beagle in gabbia, come se il problema degli allevamenti industriali si potesse risolvere con un like, come se la sperimentazione animale sia superabile alzando la voce e premendo “condividi”. Che problema avete, signori? Cosa non basta nell’espressione “bambino morto” da costringervi a mostrare delle foto? La parola non fa più effetto?

Magari è così: la reiterazione dell’orrore, il mostrare a più riprese l’immagine anziché la notizia in sé, rischia di portare all’assuefazione rispetto alla morte. Impigrisce ulteriormente il nostro cervello e la nostra etica, già così satura di morti orripilanti da portarci a sobbalzare giusto di fronte a una foto, scorrendo pigramente oltre le notizie e le informazioni sensibili, degradando i morti annegati al livello dei gattini animati in una gif.

Il problema dei migranti è complesso, il dibattito reale va ben oltre i due estremi “affondiamo i barconi” e “accogliamoli tutti”, e non è una foto a fare la differenza: se qualcuno è rimasto impassibile di fronte alle migliaia di morti orribili cui abbiamo assistito dall’inizio dell’anno, non sarà certo un link con un’immagine a fargli cambiare idea. Parafrasando Stefano Iannaccone, l’impatto emotivo di certe immagini non ha effetti concreti, fra poche ore ci saremo già scordati tutto, e nessuno avrà fatto niente per risolvere il problema.

Quindi, riflettiamo: abbiamo davvero bisogno della foto? La frase “decine di migranti morti in un tir” non basta? Non è sufficiente leggere “Cinquanta cadaveri nella stiva di un barcone” perché il voltastomaco non abbia il sopravvento su tutto il resto?

arcodioDobbiamo davvero spendere ore a litigare col razzista di turno intorno a una foto mostruosa, in una sorta d’inutile rissa in cui alla fine nessuno esce cambiato, e il cadavere resta là, cieco e abominevole, un morto fra tanti che verrà dimenticato alla prossima soubrette che farà una spaccata venuta male?

Anziché accodarci alla moda di condividere foto shock, proviamo a riappropriarci del dialogo, della diffusione di concetti più profondi della repulsione, proviamo a reinserirci attivamente nel dibattito politico, non tanto su Facebook quanto nei luoghi preposti; studiamoci bene i programmi di chi voteremo alle prossime elezioni e scegliamo con cura chi votare, e usiamo le nostre energie per ostacolare in ogni modo chi, da queste tragedie, ricava voti e consenso. Altrimenti il rischio è quello di diventare, se non nei contenuti almeno nei modi, uguali a loro. E non è una bella prospettiva.

[M.V.]

3 risposte a "Migrante in mare."

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