Il cazzo e la figa

Un’invettiva fra il sardonico e il mordace di Franco Sardo

Cosa resta della satira in Italia?

Questa è una domanda che se venisse posta da Giorgio Sbatacchiafeti sul suo anonimo profilo social avrebbe ricevuto come risposta del meritato silenzio o al massimo un generosissimo “il cazzo e la figa”.

Questa è la domanda che si pone e a cui si dà risposta Nicola Lagioia su Internazionale.

Ma la domanda di Lagioia, per quanto indiretta, in realtà é: “Anche se a causa di evidenti discrepanze cronologiche il mio giudizio proviene da una sostenuta mitizzazione postuma, a me piaceva un sacco Il Male e siccome ho conosciuto alcuni ex autori de Il Male che rimpiangono per sé stessi i gloriosi tempi in cui erano ancora gli autori de Il Male, per coccolarci nella nostalgia e riempirci tutti di bontà, mi chiedo, in maniera potentemente retorica e attraverso il sito di un mensile che, per dire, non ospita un inserto satirico, se Il Male lo pubblicano ancora e se vende come prima.”

Ecco, ad una domanda tanto prolissa ma sincera avrebbe corrisposto, invece di un papiro dalla barra di scorrimento terribile quanto piccola, un rapido e inappellabile: no.

Non che non ci abbiano provato, gli ex autori, a riesumarne il cadavere, fallendo in entrambi i casi nell’intento, e sarebbe stato quello un buon argomento di cui parlare con Vincino e Sparagna insieme, ma la risposta è sempre quella: no.

Poi chiaro, se si confonde Il Male con la satira in Italia, allora tutto è lecito.

“Che fine ha fatto la religione in Italia? No perché parlavo con mia nonna e mi diceva che da ragazza pregare le veniva un sacco meglio. Sarà stata una Chiesa più onesta, un parroco più colto, le comari più giovani, magari il latino, però… oh, quanto cazzo pregava meglio da ragazza mia nonna, e Dio l’ascoltava pure! Oddio, diciamo molto più di adesso. Forse non ci credete, ma cosa ne volete capire voi. Se volete anche solo provarci andate a Manila, a Mogadiscio, a Bogotà… lì si che si prega alla grande!”

Il meglio però viene quando, in un’epifanica parentesi di ritorno alla contemporaneità dell’autore, si parla di internet. E viene da pensare: “Bene, adesso magari si riconoscerà il ruolo che ha avuto la satira nella compenetrazione fra internet e gli italiani, a partire da fenomeni di massa veri e propri come Nonciclopedia, Spinoza, Lercio, le esperienze individuali di Qualcosa del Genere o Astutilio Smeriglia, passando dalle interpellanze parlamentari suscitate da Umore Maligno, senza dimenticare magari la vicenda grottesca di cui è stato vittima il blogger Blicero, con annessi strascichi giudiziari, o per stare nel cartaceo, la larga intesa dell’indignazione che si fece attorno Alessio Spataro oppure lo scandalo scatenato da una vignetta di Mauro Biani, per non parlare delle innumerevoli piccole storie di censure qua e là, citando magari en passant le vicende editoriali delle recenti riviste, inserti e programmi satirici, il modo in cui hanno tirato su e frustrato autori talentuosi. Oppure magari si riconosce l’impegno profuso da Satiriasi per portare il monologo satirico di stampo anglosassone in televisione, il lavoro di numerosi fumettisti specie nel campo della satira religiosa ma non solo, le decine di figure che si muovono virtuosamente sui social prima e nei locali poi, come lo Sgargabonzi o Carlo Maria Rogito, i lavori ormai orientati ad una vera e propria fruizione social di illustratori come Marco Tonus e Ivan Giannelli, i video del Terzo Segreto di Satira, di The Jackal, di The Pills, i fake come Casalegglo e tanti altri, portati all’apoteosi su Twitter, che arrivano a interagire con gli ingenui che li scambiano con gli originali, tra cui ci sono giornalisti e protagonisti della scena pubblica, oppure ancora l’ormai consolidata categoria dei videogiochi, con la Molleindustria, Grezzo 2 nonché l’ultimo in ordine di tempo Marò Slug, il campo della musica con quella perla di Mani Pulite della crew hip hop messa su da B.O.B.O. Cracksy, le miriadi di esempi di satira regionale che assurge per vari metodi alla ribalta nazionale e poi anche…”

Invece no. Niente. Nulla. Certo, nell’articolo si parla anche di “contenuti e segnalazioni interessanti”, ma internet e i social restano “lo sfogatoio che tutti stiamo imparando a conoscere.” Come se le riviste di quegli anni in cui Il Male rappresentava l’apice fossero tutte scritte da Pietro Aretino e illustrate da Caravaggio. Per non parlare della satira cartecea, televisiva e di altri media, infatti Lagioia praticamente non ne parla, illuminandoci tutti sul vuoto della propria ignoranza in materia, citando al volo sparuti facili esempi come Rezza o Ciprì&Maresco, ma solo nelle loro opere giovanili, per relegarli e rilegarli in un passato dorato e perduto, come appaiono ad ogni romantico le proprie feci nello scarico.

E allora dov’è il futuro? Come si esce da questa impasse cosmicomica? Dove trovare soluzione alla cloaca rancorosa popolare di sarcasmo e battutacce internettiane secondo Lagioia? *Quello che resta del cadavere di Petronio può cominciare a rivoltarsi, grazie.* Si deve andare “Per le strade delle nostre città, nelle stazioni quando scende la sera, dentro i locali notturni, tra i banchi dei mercati, sulle spiagge, ai semafori, nei luoghi di lavoro, negli ospedali all’alba, negli istituti psichiatrici, nelle prigioni dopo la fine dell’ora d’aria, nelle cucine degli alberghi, nelle piccole portinerie dei grandi condomini, sui treni, nella polvere dei cantieri, sulle giostrine dei parchi pubblici, nelle sale bingo e nelle sale scommesse, nei circoli per anziani, nei bagni delle stazioni di servizio, nelle scuole elementari, ai piedi dei grandi monumenti, nella realtà e perfino nella noia degli studi televisivi impegnati a confezionare un prodotto irreale… Là fuori si ride a crepapelle.”

Cioè, al netto delle suggestioni romanzettesche che non stonerebbero in un Buongiorno di Gramellini, nei posti in cui vivono continuamente le persone che usano internet e i social come spazio di libertà per sublimare la propria rabbia, a volte con ironia, a volte con comicità, a volte con cinismo più o meno riusciti, e in casi rari quanto ovunque nei tempi, con del vero e proprio genio. Si ripropone dunque la grande idea del grande retore intellettuale che nel conoscere un lottatore di sumo sarebbe capace di dire: “Ti vedo grasso, dovresti fare un po’ di dieta.”

Quello che sfugge forse, o che vuole essere fuggito, è il fatto che “nella polvere dei cantieri” e “sulle giostrine dei parchi pubblici” oggi c’è quasi sempre uno smartphone o una wifi con attaccato un essere umano.

Fra l’esempio fuorviante di Crozza, innumerevoli rimozioni (per esempio Grillo, che subì una vera e propria censura, molla emotiva del suo enorme successivo successo, ma anche i Guzzanti e forse primo fra tutti Luttazzi, che a proposito di sconvolgimenti e censure avrebbe da dire parecchio), il solito maledettismo per cui se non ti censurano non fai satira e un sorprendente celodurismo culturale sedicente sinistrorso, l’articolo prosegue e si definisce poi attorno al concetto di “discorso del potere“, suggerendo una non ben specificata forma linguistica e un contesto mediatico solo oltre il quale si darebbe la satira.

Non mi dilungo molto nel ricordare che sono stati esattamente gli anni fra Il Male e Crozza a insegnarci che per quanto tu ti sbracci, al di fuori di un potere di sorta nulla è dato. L’idea dell’antisistema o del “di fuori del sistema” è semplicemente illusoria e resta tuttalpiù un giudizio da dare a posteriori per riempire nostalgie e retrospettive. Storia di un impiegato è uscito sei anni prima del Male. Lo stesso Male, per dirne una, veniva venduto nelle edicole, quindi distribuito da distributori, il cui potere è sempre stato, e chiunque abbia una minima concezione dell’editoria lo sa, enorme. Il rapporto fra potere e satira, in ogni loro forma, è sempre stato parassitario e commisto semmai, lontano da qualsiasi presunta purezza tipica dei diamanti dell’illusione mnemonica.

Tanto è interna la satira al concetto di potere, visto che ne mina alla base il piano comunicativo, che senza cosa sarabbe? Una redazione trucidata? Una commemorazione postuma in una rassegna artistica istituzionale? Una semplice sega mentale fatta in una stanza buia? Insomma si rappresenta la satira morta perché morta è dentro di noi l’idea di una satira rimpianta in maniera da poterla sublimare come romantica, in un corteo funebre coi suoi santini, le sue autoflegellazioni e i suoi tabù.

La verità è che la satira deve essere prima di tutto di qualità e in secondo luogo messa in mezzo, subito sotto la coltre ufficiale delle convenzioni sociali, siano esse espresse attraverso il rispetto delle istituzioni siano essere rappresentazione dei costumi, per poterle modellare tramite la pressione della sua immanente umanità, e rivelare attraverso l’oltraggio di una risata riflessiva una realtà sottaciuta, condivisa o individuale che sia, utilizzando un linguaggio e un contesto che sono propri del potere. Ovvero, il cazzo e la figa.

[F.S.]

7 risposte a "Il cazzo e la figa"

    1. Grazie, molto gentile! Pur avendo dimenticato un botto di altri casi interessantissimi, quelli per esempio di pagine come Marxisti Per Tabacci, oppure un approfondimento sulle riviste, che non ho affrontato perché necessiterebbe un articolo a sé.

      1. Assolutamente! Un’unica cosa temo: quando si fanno queste rassegne si finisce sempre, consciamente o meno, di segnare la fine di qualcosa e di ignorare completamente l’inizio di qualcos’altro. C’è insomma sempre la questione del tempo: quale momento fermare? Quello appena passato o quello che sta per venire?

        A parte ste pippe, appena il blog mi paga tutti i fantastiliardi di paperdollari che mi deve scrivo l’altro pezzo. Grazie 🙂

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