Applicata in vari modi un po’ ovunque, ne propone una stretta Donald Trump.
Un vecchio ricco che vuol limitare la “libertà d’espressione”.
Un pensiero ricorrente espresso spesso senza filtro da qualsiasi potere o da qualsiasi tifoso dello status quo. E che te lo dico a fare.
Ma proprio come il “e che te lo dico a fare” di Donnie Brasco, questa storia può avere diverse interpretazioni, tra le quali la più lampante e banale, che sfugge con una svista madornale, di ottusa superficialità: la vera limitazione della libertà d’espressione è liberalizzare l’espressione.
Certo il signor Trump più che altro si occupa di lanciare le sue invettive salviniane (sì, va be’, ci siamo capiti), ma il concetto torna anche in proposte più “ponderate”, proposte di persone che evidentemente non utilizzano un granché Internet, ma nemmeno il solo Facebook, che se vedessero in quante puttanate si diluiscono informazioni, opinioni informate, elaborazioni logiche sensate o proposte efficaci, dormirebbero sonni il doppio tranquilli di quelli che già vivono.
Davvero, limiti all’Internet? Quando la gente condivide Povia? Quando si leggono i Paperi? Quando per far leggere due notizie di progresso si deve aprire una pagina chiamata “tette per la scienza”?
Porno. questo è quello che gira. Quello che tira. La grande forza, il motore che muove l’universo. Figuriamoci la rete.
Diglielo, Perry, e lascia il povero Donald a… già non è povero. Però magari il porno l’apprezza lo stesso, e più difficile è rimediarlo, maggiore è il suo valore… ora ho capito.
[D.C.]
Vale per il reazionariato ciò che vale per la demenza e il trolling: non c’è limite.
La citazione di Cox su Internet era DOVUTA, assolutamente.
Come questa che direi possa riassumere al meglio il programma di Trump: