Ci siamo. Facebook punta tutto sulla qualità: meno cazzate scrivete, più grosse le visualizzeremo. Se tutto va bene, siamo nella merda. Tant’è.
Nel tripudio di spiagge, tramonti e centro informativo stile CIA sul vostro #relax estivo – il tutto accompagnato da tette, culi e ciccioni-di-merda olimpionici – la vera drammatica realtà che ci ammorba ultimamente è quell’attività tutta particolare del “trova-un-motivo-idiota-che-giustifichi-i-selfie-del-ritardo-che-piazzo”. Ed ecco la sfilata circense di etero palestrati, orgogli omo, milf e donne del sottosviluppo neuro-cognitivo, architettare eccezionali motivazioni e sbalorditive tecniche per convincerci che la loro vanità da autoscatto-compulsivo – quella che peraltro sono bravissimi a criticare agli altri – abbia in realtà fondamenta introspettive, filosofiche, culturali, e – per più audaci – casuali o socialmente utili. La vera magia è che loro ritengono una mossa furbissima, quello che invece è un chiaro tentativo, cognitivamente umiliato, di spacciare pose da pornodivi ungheresi per scatti spontanei o simpatici.
In realtà questo fenomeno non è del tutto terribile, ma se ci pensiamo anche avvincente e pieno di misteri. Questo ci invoglia ad addentrarci con sfacciataggine nell’insondabile buco nero che è il loro encefalo, in quella che diventa un’interessante ricerca della funzionalità base del neurone primordiale in lotta per la sopravvivenza, sbattendo come un pazzo da parete a parete della scatola cranica, e rincoglionendosi esponenzialmente a ogni colpo invocando Darwin al contrario. Ciò che ci perplime non è la manifestazione in sé dei propri volti, perché in fondo siamo tutti social, e se vedessimo un selfie didascalizzato da un onesto “cristo come sono figo/a” o “cerco cazzi disperatamente” o più semplicemente da quella stranissima cosa detta senza parole, riusciremmo a conviverci senza domande speciali sul genere umano. Invece entriamo in home, oppure cerchiamo materiale per poter scrivere questi pezzi male, ed ecco la baraonda del selfie con spessore didascalico auto giustificativo pari allo zero assoluto. Il tutto ci si abbatte addosso come siringhe di acido ialuronico, e conseguente cristallizzazione della faccia in sgomento e raccapriccio. Nei casi più eclatanti, ci sale una tale carica emotiva da tentata presa per il culo, che potremmo tranquillamente esercitare fissione nucleare a mani nude o geolocalizzare Pokémon a sensazione, senza cellulare.
Questi soggetti, dalla concezione di sé neurologicamente disarticolata, tentano di convincerci che non esiste scenografia, preparazione e narcisismo dietro le loro foto. Come se l’iPhone decidesse di librarsi per aria e fermare in autonomia facce e tette in posa neoclassica mentre si prepara la cena, cazzi a grappolo imprigionati in mutande multicolor a tendenza gay-friendly mentre si legge un libro culturalmente accettato, tette strizzate da braccia conserte mentre si sta rimuginando sull’ipotesi cosmogonica della nebulosa primitiva elaborata da Kant. Certo. E da quale tetta lo dovevamo capire? Da quale grado di moscezza del tuo pene poggiato su un libro, dobbiamo dedurre quanto i sonetti aretini che hai citato stiano influenzando la tua ascetica esistenza? Da quale arguto misticismo escheriano della luce frattale che riflette vetro, che riflette cornea, che riflette specchio che riflette te che limoni le tue dita, lo dobbiamo percepire che ti sei appena svegliata? Dobbiamo davvero credere che hai il forno che ti fa le foto a tradimento in posa porno-bucolica mentre stai cucinando alla tua dolce metà? O ancora, dopo quanti litri d’olio dobbiamo capire che il soggetto della foto sono i tuoi pettorali in salamoia e non il mare dietro, come vagamente ci fai intendere dal pezzo di canzonetta citato?
Insomma, avido Mark, qui serve tipo un menù a tendina sotto i selfie debosciati, in modo che la didascalia alle foto la suggeriamo noi, tipo
“mignottone”
“pacco osceno in luogo pubblico”
“libro piazzato a cazzo, non ci provare: sei idiota uguale”
“cambio olio: pari ‘na caponata”
“connessione frase/foto da demenza senile in forte anticipo”
“mutanda a righe non fa più tendenza, deforma situazione già geneticamente mortificata”
“occhi a figa orizzontale, più che sensuali”
“bocca distorta in sindrome spastica, più che sensuale”
“cellulare riflesso allo specchio mi distrae dalla tua figaggine: che modello hai?”
“ricomponiti: non ti scopa uguale”
“molla i filosofi che non te li inculi mai, o non saresti così in ritardo sulle cose”
“hai messo talmente tanta saturazione che t’è sparito il naso”
“hai usato così tanti filtri che pari ‘na macchia di Rorschach”
“se associ Prisma alla tua faccia da culo invochi il diavolo, non Monet”
NB: qualunque riferimento a foto e volti e post visti nella realtà, è assolutamente voluto.
NB (due): ringrazio per la collaborazione Syd Joyce, amante come me dello sturamento social di idiosincratiche presenze, nonché generatore delle migliori locuzioni-male che io abbia mai letto o costruito.
Sturate, gente, sturate.
[M.C.]