Questione di rispetto.

collodipapero

La settimana scorsa, ben tre redattori (nell’ordine Petrelli, Sardo e Cerreti) hanno sentito l’esigenza di dire due parole sull’ondata di indignazione che ha colpito il nostro amato paese; indignazione rivolta, orgogliosa e violenta, contro quei saltimbanchi di Charlie Hebdo, rei di aver scritto una vignetta di dubbio gusto che ironizzava – mettendo in prima linea le vittime del terremoto che ha colpito Amatrice e dintorni – su come viene gestita l’edilizia (o, più o meno, quasi ogni cosa) qua da noi. “È una questione di rispetto”, hanno detto molti.

Non solo: aveva fatto discutere, oltre alla vignetta in sé, la “risposta” di Charlie Hebdo all’indignazione italiana: una vignetta più che diretta che asseriva, in sostanza, “che cazzo ve la prendete con noi, le vostre case le costruisce la mafia, non il nostro giornale!”

Apriti cielo!

“La mia casa l’ha costruita mio nonno, mica la mafia!”

“Gli italiani non sono tutti mafiosi!”

“Le case distrutte dal terremoto sono del 1600, altro che mafia!”

Ora, a parte che c’è un’inchiesta di una commissione anticorruzione proprio ad Amatrice, che sta cercando di capire dove sono finiti di preciso i 700.000 euro che avrebbero dovuto mettere in sicurezza la scuola crollata, e a parte che le inchieste sugli edifici crollati nonostante la certificazione antisismica sono decine – il che con buona pace di vostro nonno potrebbe far pensare a qualche irregolarità – vorrei chiarificare un attimo questa storia della “mafia”.

La mafia non è un signore con la coppola e la lupara. La mafia non è solo quella che spara e mette le bombe, anzi, quella è la mafia vecchia. La mafia nuova è la mentalità che fa andare avanti il paese a suon di favori, furberie, soprusi. La mafia è corruzione, abusivismo, omertà.

La mafia (o camorra, o ‘ndrangheta, non importa come la chiami, quella è), è quella cosa per cui, a Melito, una ragazzina viene abusata e stuprata per tre anni da un rampollo di una famiglia della ‘ndrangheta, Giovanni Iamonte. Da lui e dai suoi amici: Antonio Verduci, figlio di un maresciallo dell’esercito; Davide Schimizzi, fratello di un poliziotto. Daniele Benedetto, Pasquale Principato, Michele Nucera, Lorenzo Tripodi, tutti poco più che ventenni, e un minorenne.

La mafia è il fratello di Schimizzi che gli dice come negare ogni accusa con scuse del cazzo. La mafia è un parroco che dice che “corre voce che questo non sia un caso isolato, c’è molta prostituzione in paese”, perché è chiaro che il problema è il malcostume femminile. La mafia è la vecchia del paese che dice “sono vicina alle famiglie dei figli maschi, per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare”, perché è chiaro che è normale che dei ragazzi, provocati da abiti succinti, violentino, minaccino e umilino una ragazzina per 3 anni. La mafia è l’altro parroco, che dice “sono tutte vittime, anche i ragazzi”, tanto per equiparare stuprata e carnefici. La mafia è la popolazione di Melito che non partecipa alla fiaccolata per la ragazza: di 14.000 residenti, 13.600 restano a casa, che non si sa mai, e poi in TV c’è uno special di Don Matteo. La mafia è quella cosa che rende omertosi perfino i genitori della vittima, che hanno paura: paura di ritorsioni, di essere isolati dai concittadini, paura della stessa città in cui vivono.
Paura di noi.

Questa è la mafia. Quella cosa per cui la seconda vignetta di Charlie Hebdo ha avuto quasi 30.000 condivisioni incazzate, 7 articoli solo su Repubblica (per un totale di oltre 10.000 condivisioni), e l’articolo sullo stupro della piccola calabrese, sempre su Repubblica, un solo articolo. Meno di 100 condivisioni, mentre sto scrivendo*.

Mo’ ditemelo di nuovo, che gli stronzi sono i vignettisti.

Che la mafia non c’entra nulla con le nostre case e le nostre vite.

Che non ci piace da morire fare i bulli con chi apre bocca e stare muti mentre ci inculano con la ghiaia.

Che non è vero che siamo un popolo di scansa-scontrini, di parcheggiatori abusivi in doppia fila, di leccalulisti spintarellari, di baciaplile vivielasciaviveristi, di defecatori sui diritti altrui, di piagnoni panciaguidati, orgogliosi solo sulle cazzate, ma omertosi quando non complici su tutto il resto.

Magari fossimo tutti Charlie, sarebbe comunque meglio che essere quasi tutti merde.

[M.V.]

* citando Repubblica a proposito della copertura mediatica dei due eventi ho, a onor del vero, preso uno dei casi peggiori. Ma sebbene su La Stampa le condivisioni dell’articolo su Melito fossero migliaia, molte di più di quelle del trafiletto sulla rivista francese, ho notato con sgomento che quella de La Stampa e dei suoi lettori è una voce fuori dal coro: Libero online della ragazza stuprata neanche ne parla, ma dedica la prima pagina del cartaceo e una manciata di articoli a Charlie Hebdo; il Fatto Quotidiano dedica due articoli alla vicenda di Melito e sette articoli al giornale satirico francese; l’Unità è troppo impegnata a parlare della Raggi e di Renzi e di Renzi e della Raggi e si dimentica della ragazza violentata, in compenso parla due volte della vignetta; il Corriere dedica 2 articoli a Melito – per circa 1.500 condivisioni – e ben 9 a Charlie Hebdo, per oltre 10.000 condivisioni. Oh, magari m’è sfuggito qualche articolo in un senso o in un altro, ma direi che ci siamo capiti, no?

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