“New World Order gonna profit from death. Don’t want a life under the New World Order!
Drones in the sky watching everything you do, it’s happening now… Killing off the poor, the disabled and old, it’s happening now!”
Discharge – New World Order
Io parlo raramente di cinema. Pochi lo sanno, ma teoricamente dovrebbe essere una cosa di cui ne so qualcosa; ma siccome c’è tanta gente che ne sa più di me, trovo normalmente più saggio tacere e lasciare che divulgatori e critici migliori di me facciano il lavoro sporco, limitandomi a godere del cinema da spettatore, lasciando le seghe mentali nel cassetto del comodino. A volte, però, sento una specie di chiamata e devo recensire un film prima di tutti. Soprattutto quando il film è un capolavoro come Nuovo Ordine Mondiale, scritto e diretto da Povia dai fratelli Fabio e Marco Ferrara, interpretato da Mario Ferrara che fa anche da produttore esecutivo. Fotografia di Fabio Ferrara, montaggio e editing di Marco Ferrara.
Bando alle ciance. Prima di tutto, vi metto qui una bellissima intervista di Vice ai registi, due persone squisitamente equilibrate e per nulla alienate dalla realtà, sia essa quella del mondo del cinema o quella della vita di tutti i giorni. Poi, eccovi il film completo su youtube (presto, prima che lo censurino!!!1!). Così lo vedete. Perché, vi avverto, la recensione è piena di spoiler. Ma tanto il film è una merda, quindi pazienza.
Il film si apre con immagini dure di militari incazzati. Al porto di Napoli. Perché il porto di Napoli è chiaramente un sito strategico di controllo delle masse a livello nazionale. Telecamere sul porto di Napoli, militari che guardano il porto di Napoli, che ci sarà mai nel porto di Napoli? Nulla: nel corso del film non vedremo più il porto di Napoli. Ma adesso, per dio, sappiamo che esiste. Ed è malvagio.
Mentre ci interroghiamo sul porto, inizia il vibrante monologo di un generico politico malvagio che ci informa della sua malvagità sia facendo la faccia malvagia, sia svelando un piano segretissimo per controllare il pianeta e soprattutto l’Italia grazie alla crisi, alla cessione di non precisate sovranità nazionali all’Europa, alla biotecnologia e alla ripetizione ossessiva della frase “rimane un sedimento”. Le sue parole si alternano a immagini dell’occhio nel triangolo della Provvidenza, di Baphomet, di San Giorgio, di telecamere, di rettiliani. Con chi sta parlando? Probabilmente da solo. Non lo scopriremo mai. Intanto i titoli finiscono, appena in tempo, perché era finito anche il footage di triangoli, santi e rettiliani, e le immagini iniziavano a diventare un filino ripetitive. Una scelta stilistica coraggiosissima che ritroveremo anche più avanti: costruire, pian piano, inquadratura inutile dopo inquadratura lunga e viceversa, un opprimente e claustrofobico senso di noia.

Dopo il titolo, “New World Order”, assistiamo a una riunione del misterioso “Gruppo Blumberg”, in cui politici e banchieri, ma malvagi – lo sappiamo perché fanno le facce malvagie – parlano di crisi, di manipolare le masse, di usare ogni mezzo necessario per controllare la popolazione. Come sappiamo che quello è il Gruppo Blumberg? Grazie allo screen saver.

Uno dei cattivi parla in un pessimo inglese, un altro con uno spiccato accento del sud, finché anche il primo non inizia a parlare in italiano, ma con accento inglese, gesticolando in modo malvagio. Alla fine nessuno ha capito un cazzo, se non che la malvagità è ai picchi storici. La scena si conclude con una stretta di mano massone fra gli intervenuti e l’immagine di un vecchianziano che osserva la scena grazie a una telecamera nascosta. Come l’abbia piazzata nei condotti di areazione segreti della sede segreta di un’organizzazione segreta che controlla segretamente il mondo e che cazzo di potenza abbia quel segnale video non ci è dato di saperlo.
Ci sveglia dal torpore l’inizio del terzo incipit. Le prime cose che scopriamo del protagonista sono che è un poliziotto e che ha la seconda sveglia più pacchiana e fastidiosa del mondo (la prima è Adinolfi che ti sveglia scoreggiandoti in faccia e urlando “il gendeeeeer”). Dopo quarantacinque interminabili secondi di suoneria della sveglia, ecco che appare Mario Ferrara, alias il commissario Massimo Torre, alias il protagonista: un incrocio fra Lillo Petrolo quando fa finta di recitare male e Jack Cucchiaio. D’ora in poi, per comodità, lo chiameremo Lillo.

Cosa fa il commissario? Nulla. Legge la posta, un po’ scocciato, così, per aggiungere prezioso minutaggio, come se ce ne fosse bisogno.
Quarto incipit. In una conferenza stampa, troviamo Marzio “Un Posto al Sole” Honorato, Ministro dell’Interno, che a causa della crescente criminalità affida la sicurezza nazionale al Ministro della Difesa, un Enzo “Striscia la Notizia” Iacchetti in un ruolo insolitamente drammatico. Una specie di remake della scena dell’infarto del notaio in Boris, ma senza ridere.

Ci spostiamo alla centrale di polizia dove lavora Lillo, durante una sessione d’allenamento. Tutta la scena serve a farci vedere tre cose: la “regola dei due passi”, che consiste nell’arretrare di due passi dopo aver disarmato un aggressore (squilla un telefono nella nostra testa, avvertendoci che tale “regola” salverà il culo a qualcuno alla fine del film), che Massimo Torre Lillo è un poliziotto honesto che non si piega al Governo, all’esercito, ai poteri forti e ai servizi segreti (tramite opportuno pippone) e i due “bracci destri” (alzati) di Lillo: Ranza, un bravo ragazzo honesto che vorrebbe entrare nei servizi segreti e portarci l’honestà, e De Vita, che vuole entrare nei servizi segreti e basta. Se in sovraimpressione comparisse una scritta rossa lampeggiante che dice “quindi alla fine De Vita è un traditore” nessuno protesterebbe. Qui conosciamo anche Sara, la quota fregna del film, che viene rimbrottata da Lillo perché troppo impulsiva; alla cazziata lei reagisce provocando sessualmente il commissario, che però non se la incula di pezza.
Lillo va a cena, come ogni giovedì, dal collega Francesco (Alessandro Incerto, o come scritto nei titoli “Allessandro”, attore da fiction, quindi perfettamente a suo agio) e Cristina (un’inutile Stefania Orlando). La figlia di Francesco, imitando goffamente Pollon, chiede a Lillo: “mi prometti che non farai succedere nulla di brutto al mio papino?”. Lui promette, condannando a morte il poveraccio per la Prima Legge delle Sceneggiature di Merda, poi, mezzo ubriaco, torna a casa.
Qui trova Sara, la ninfomane impulsiva, che SORPRESONA! è sua moglie. I due fanno l’amore come due amanti nel pieno della passione, poi mutano improvvisamente in coppia in crisi, e infine lei le dice di essere incinta suscitando in lui la reazione meno realistica della storia del cinema a una notizia del genere, la faccia da vabbuò.

Dato che lui a ‘sto punto vorrebbe che lei facesse un po’ di turni d’ufficio anziché a sparare ai camorristi, ma lei no, vuole stare in strada, basta un giubbotto antiproiettile di qualche taglia più grande, scoppia un litigio epico con insulti a caso che termina con Lillo che le dice di andare in centrale. Cioè: invece di comporre o, al limite, di andarsene incazzato, sbatte la moglie incinta per strada. Perché? Semplice. Di lì a poco un gruppo di malvagi prende d’assalto un supermercato. Quando avvertono Lillo della rapina è mattina, c’è il sole, ma quando arriva sul posto è notte. Non facciamoci domande, è la magia del cinema. Anche se in effetti potrei spendere ore a raccontarvi tutti i raccordi sbagliati del film, probabilmente messi lì per fare da contraltare alle inquadrature troppo lunghe, inutili, o inutili e troppo lunghe. Vabbé.
Il commissario arriva, si consulta con la squadra. Ovviamente nel supermercato c’è Sara, tenuta in ostaggio. Lillo vede un collega ferito. “Bastardi. Vabbé, portatelo via.” Trascinano via l’agente tirandolo per un piede e lo lasciano a morire in un angolo: i veri duri non usano i paramedici.

Lillo apre il bagagliaio della sua macchina, che contiene mitra da softair, fucili d’assalto giocattolo, bombe a mano di cioccolata. Bestemmia, prende una pistola a fulminanti e entra nel supermercato, da solo, con le mani alzate, tanto la pistola è di gomma.
Lillo prova a trattare coi malviventi, ma loro sono scaltri. Sono dei geni del crimine, e chiedono tutte le chiavi delle volanti. “Merda”, pensa il commissario “così non possiamo più inseguirli!”. Perché ovviamente tutte le auto della polizia di Napoli e provincia sono ammucchiate nel parcheggio della Coop. Prima di fuggire il capo dei criminali, che non solo ha la faccia malvagia ma ha anche una cicatrice malvagia così finta che a confronto i film della Troma sono Avatar, ammazza Sara, e Lillo grida “AAAAAAAA”.

Mi asciugo una lacrima ripensando ad Alex l’Ariete, e proseguo.
In realtà la ragazza è ancora viva, ma come abbiamo detto i veri duri non usano i paramedici. Non c’è un’ambulanza, uno che conosca le procedure minime di primo soccorso, un cazzo di kit con disinfettante e bende, nulla. La poverina schiatta così, non provano neanche a portarla all’ospedale perché le chiavi delle volanti ce le ha tutte il tizio sfregiato. Maledetto genio del crimine.
Perché lo fa? Così, senza motivo? Ma no, è semplice: nella testa dello sceneggiatore tutto questo è perfetto per far venire i sensi di colpa al protagonista, che potrà così incolparsi per questa tragedia. “Se solo non mi fossi ubriacato e non avessi mandato mia moglie incinta in centrale dopo un litigio inutile e se solo fossi riuscito a impedire un omicidio assolutamente insensato al termine di una rapina immotivata condotta da dei decerebrati e se solo avessimo delle cazzo di ambulanze a portata come si conviene durante un’operazione di polizia, lei sarebbe ancora viva”, sbraiterebbe Lillo se solo non fosse troppo impegnato a osservare Ranza che spara urlando e digrignando virilmente i denti.

Nel mentre si vedono diverse scene in cui Iacchetti si rigira come vuole i giornalisti usando la sua parlantina credibilissima e soprattutto dà mostra di poter tenere a bada anche la camorra minacciando i tirapiedi dei boss di mandargli Capitan Ventosa. Almeno una cosa buona c’è: questo film è la cosa con Iacchetti che mi ha fatto più ridere in assoluto.
Stacco. Inseguendo i malvagi, la squadra del commissario arriva in un laboratorio della Biotech SpA, una struttura scientifico-tecnologica in cui lo sfregiato e i suoi soci hanno appeno ucciso tutti, a partire dal dottor Ottavio Golizzi, capo del progetto, con “metodi da servizi segreti”, cioè sparando più volte perché ai servizi segreti i proiettili li regalano. Tutti i documenti sono spariti, i malviventi sono fuggiti, le indagini sono a un punto morto. “Perché cazzo hanno rapinato un supermercato prima di fare un’azione da killer professionisti?” si chiede pure il protagonista.
“Sticazzi”, risponde lo sceneggiatore.
“BUONA!” conclude il regista.
(se “BUONA!” l’avete letta con la voce di René Ferretti vuol dire che siete entrati nel giusto mood)
Andiamo avanti, che ‘sta monnezza dura due ore e non siamo neanche a metà. Lillo, che forse ha letto la sceneggiatura per intero, si dà all’alcool. Si sta scolando una bottiglia di Jack Daniels quando arriva Francesco, ‘o collega, che gli dice con cadenza monotono che c’è una pista, che capisce che lui stia male ma insomma si deve dare una mossa, che si deve fidare di lui che si risolve tutto. Ancora rincoglionito dall’alcool e dopo l’elaborazione del lutto più veloce della storia del cinema Lillo si getta all’inseguimento di Monica, l’unica sopravvissuta alla strage nel laboratorio perché quella sera ci aveva judo, già braccata dai servizi segreti malvagi.
La ragazza viene sorpresa su un autobus da due poliziotti della Gendarmeria Europea (quindi malvagia)

che vengono però fronteggiati da Lillo e da Francesco, che viene colpito ma si salva perché ha il giubbotto antiproiettile. “Meno male”, pensa, e prima di proseguire se lo toglie. Fra inseguimenti, esplosioni e Ranza che spara urlando e digrignando virilmente i denti Monica viene rapita al termine di una sparatoria che diventa inspiegabilmente una battaglia campale, finché non arriva lo sfregiato malvagio che ammazza Francesco sparandogli sei o sette volte, giusto per infierire senza motivo. Oh, è malvagio. Francesco muore, ce l’hanno detto prima, perché non ha più il giubbotto antiproiettile. Che trovata geniale! Questa sceneggiatura è un orologio svizzero! Assemblato da un ritardato, certo, ma non si può avere tutto. Com’è, come non è, nonostante Lillo provi a imitare (con scarsissimi risultati) Rambo, la ragazza viene portata via dai malvagi e interrogata nelle segrete di Sauron.

Lillo si sveglia in ospedale, scopre che Francesco è morto e fa una scenata drammaticissima (il che ci fa dubitare della sua eterosessualità, visto che la morte della moglie l’ha superata in due ore e che continua ad abbracciare Ranza, che urla e digrigna virilmente i denti). Hanno un alterco col questore malvagio, una specie di Bud Spencer che recita molto peggio di Bud Spencer, che toglie loro il caso. Dopo qualche urlaccio e Ranza che dà una testata a un questurino urlando e digrignando virilmente i denti, il caso sembra chiuso. Ma non è così.
Si svolge il funerale di Francesco e Sara. Qui i casi sono due: o Sara ormai è in avanzato stato di decomposizione, oppure il film ha la stessa cadenza temporale dei Cavalieri dello Zodiaco: gli stacchi sono a tempo zero e tutta la storia dura realmente due ore. La scena del funerale è importantissima perché permette al regista di far cazziare durissimo Lillo dalla piccola Pollon – “mi avevi promesso che non avresti fatto succedere nulla al mio papino” – a cui il commissario risponde rispolverando la sua faccia da vabbuò.

Lillo ha un crollo depressivo. Ma Ranza lo scuote, dicendo che non si sa come ha accesso ai file dell’archivio, qualsiasi cosa ciò significhi. Ranza, urlando e digrignando virilmente i denti, si produce in un monologo scritto da Pelù. Quando pronunca la frase “l’uniforme della polizia non è l’uniforme del Governo, questa è la divisa del popolo”, si può notare sullo sfondo Beppe Grillo che si sborra nelle mutande. Ma, soprattutto, Lillo capisce che lui non è un agente di polizia, lui è L’Agente di Polizia, anzi, Laggente di Polizia. E diventa una bestia.
Lillo chiama De Vita e riunisce il terzetto per iniziare l’assalto ai poteri forti. Ranza, novello MacGyver, hackera il pc di Monica con un cacciavite. L’hard disk è danneggiato, tutto, tranne un singolo video (vedi te il culo alle volte) in cui si scopre che la Biotech stava facendo ricerche su un siero che agisce sulla ghiandola pineale come fosse antani, brematurando il quoziente intellettivo e rendendo laggente resistente al controllo mentale con scappellamento a destra di Blumberg. La ricerca è distrutta, ma la ragazza incurante di qualsiasi profilassi di laboratorio si è iniettata il siero, così, per fare la guappa. Tutto questo per far lamentare la ragazza del fatto che lei ha studiato, studiato e studiato e poi la Ka$t4 le fa fare la cavia da laboratorio.
Il delirio prosegue: Lillo, Ranza e De Vita cercano (non si sa come o su che basi) Silvio Draghi, ossia il vecchianziano che spiava il gruppo Blumberg all’inizio. Questi spiega al terzetto tutta la manfrina del complottismo dando la colpa ai politici e alle banche

in un tornado di stronzate che mischia scie chimiche, haarp, chip sottopelle e soprattutto il fluoro. Perché la base del controllo mentale dei poteri forti sta nel fluoro dei dentifrici, che ci riduce il QI e ci rende docili e ubbidienti.
“Ma come l’hai scoperto?”
“Scarsissima igene personale.”
Le banche e i politici sono controllati da un gruppo, qualcuno li chiama Massoni, altri Illuminati. Ma sono il Gruppo Blumberg. E il piano diabolico del Gruppo Blumberg è questo: buttare dodici fusti di monnezza biochimica nella sorgente del Volturno in modo da avvelenare con una specie di malattia l’intera popolazione nazionale per poi curarla coi chip sottopelle. “Ma dodici fusti in un fiume, pure se non passassero i depuratori, sono come una scoreggia in un tornado, non possono avvelenare una nazione”, direte voi. Ingenui. Qui sta il genio del Gruppo Blumberg. Veleno omeopatico.
La successiva mezz’ora di film assomiglia tantissimo a una partita a softair organizzata da dei disadattati. Il terzetto, con le facce pitturate di nero che manco nel Vietnam, attacca i malvagi dalle fogne dopo aver localizzato i fusti grazie a un segnalatore piazzato sui barili così, un po’ a cazzo di cane, tanto voglio dire, plot hole più, plot hole meno, ormai non ha più importanza.

Seguono svariate scene inutili, lentissime, ripetitive, in cui i tre poliziotti fanno fuori buona parte dei malvagi con assalti furtivi stile videogioco, in un patetico scimmiottare i film d’azione, fino all’immancabile e lunghissima sparatoria fatta di campi e controcampi di armi che sparano e gente che muore in modo plateale.
Non so come farvi capire, se non con questo esempio: prendete un film di Micheal Bay. E poi fatelo dirigere al regista di La Squadra 5 sotto ketamina.
Mentre Ranza uccide i nemici urlando e digrignando virilmente i denti, inizia il duello finale fra Lillo e lo sfregiato malvagio. Il cattivo sorprende Lillo, ma si avvicina troppo (“regola dei due passi!”). Lillo lo disarma, ma poi svuota il caricatore, perché lui non è vile, è Laggente di Polizia, e decide di combattere a cazzotti. Nel turbinare di pugni tutti uguali Lillo sembra farcela, ma poi sfregiato attera il commissario con uno sho-ryu-ken al rallentatore. Poi estrae un coltello, ma Lillo lo blocca, i due lottano, poi il malvagio fa il tipico errore da Sceneggiatura di Merda: dice a Lillo che si è molto divertito a uccidere quella puttana di sua moglie (senza nessun motivo, peraltro). Lillo grugnisce, lo sfregiato urla, poi grugnisce lo sfregiato, poi urla Lillo, lo sfregiato grugnisce di nuovo, Lillo urla più forte e ammazza il cattivo.

Dopo aver rubato un badge rosso (il flavour da videogioco è alle stelle) i tre eroi irrompono nella roccaforte di Sauron per liberare Monica, legata e imbavagliata come in un porno di serie B. Riescono a raggiungerla, ma sul più bello De Vita si rivela quale il traditore che è, come abbiamo capito al minuto 15, e uccide Ranza, che per una volta non urla né digrigna i denti. Arrivano altri soldati della Gendarmeria Europea malvagia, che catturano di nuovo Lillo e Monica.
Finale: Monica viene sacrificata al demonio.

Seriamente. Con Iachetti che è un servo di Baphomet. Mi sono commosso.
Lillo ormai conosce il complotto mondiale globale del gruppo Blumberg, ma non ha le prove per dimostrare alcunché. La moglie è morta, gli amici sono morti, un finale allegrissimo. Come se non bastasse ci puppiamo un discorso meraviglioso di Renato di un Posto al Sole che dice a Lillo una roba tipo: “Adesso sai tutto, ma nessuno ti crederà. Abbiamo vinto, e per il resto del mondo sarai solo uno stronzo di complottista come tutti gli altri”. E lo molla sulla tomba dei suoi cari, così, per cattiveria. Ve l’avevo detto che era malvagio.
Questo film, che racconta la genesi di un complottista in modo che un complottista possa bagnarsi guardandolo, è in realtà l’idea che il complottista di cui sopra ha di un blockbuster. È scontato come le scie chimiche, lento come una biowashball, girato male come un video di Byoblu e scritto peggio. Come un articolo di Marcianò.
Insomma, una merda totale. È un film che sembra girato da uno studente di cinema non brillante, uno che sa cosa dovrebbe fare ma non ci riesce. La fotografia è piatta, la regia da soap opera, la recitazione monotona; le musiche sembrano comprate su un sito di stock audio e il montaggio è stato fatto da un serial killer specializzato in segretarie di edizione, evidentemente assenti sul set. Eppure, è talmente pieno di errori, di cliché, di luoghi comuni, da essere grottescamente affascinante. E soprattutto si prende così dannatamente sul serio che è impossibile seguire le avventure di Lillo senza ridere, quindi il mio consiglio è: guardatelo, perché Alex l’Ariete non è più lo re.
Abbiamo un nuovo campione.
[B.K.]
POESIA PURA
Un novello Gianfilippo Caraglia