“D’Alema,” implorava Nanni Moretti in Aprile, “di’ qualcosa di sinistra!”
Quasi vent’anni dopo, D’Alema capisce, reagisce, e dà il via a una scissione. I fedelissimi lo guardano perplesso. Lui fa una faccetta delle sue.
“Dai, su… la scissione è di sinistra.”
Se uno entra nella girandola di sondaggi e percentuali che riguardano il PD (attualmente diviso in due: il pezzo di D’Alema, che è “partito”, e il pezzo di Renzi, che si tiene il lemma “democratico”, seppur con riserva) corre il rischio di vomitare a causa del numero di balletti e giravolte di gente che esce, rientra, dice che esce e poi non esce, o se ne va per fare una sorpresona o, come avrebbe detto Bertinotti, uno scherzo.
Il fronte renziano del PD, che presumibilmente rimarrebbe “il PD”, oscilla fra il 20 e il 25%; il ramo dissidente di D’Alema, Bersani, Rossi e compagnia, da molti ribattezzato “cosa rossa” bascula dal 5 al 10%, numeri che, come avviene sempre nelle scissioni, è più probabile che calino, non che aumentino. Nel quadro s’inseriscono anche Sinistra Italiana (4%), le incognite Pisapia e Civati, il ri-rifondato Partito Comunista e qualcosa come una ventina abbondante di partitini, movimentini, comitatini che, tutti insieme, decideranno quale sia la strategia migliore per permettere alla sinistra, serenamente e pacatamente, di perdere le prossime elezioni.
L’assemblea del PD appena conclusa è stata un impietoso specchio di quello che è il PD oggi: un partito diviso, in cui generali e colonnelli giocano a Risiko con le percentuali, parlando di cose che sarebbero di difficile comprensione se solo a qualcuno interessasse starle a sentire. La sensazione di vedere una partita a scacchi tanto complessa quanto inutile, mossa più dal personalismo che dalla ricerca del famoso, fantomatico e indefinito “bene comune” è così forte che se un elettore di sinistra prova a pensare “ma no, stanno cercando il modo migliore per fare i miei interessi” subito torna con malinconia a pensare a quelle belle trame cinematografiche con meno buchi di sceneggiatura, tipo quella di Pacific Rim.

Io non so come reagirò quando, alla fine del balletto mortale fra i baffi di D’Alema e i nei di Renzi, si poserà la polvere sulle macerie del PD. Perché l’unica cosa sicura di questa guerra intestina è che la prima vittima sarà l’elettorato: confuso, spaesato, costretto nuovamente a scegliere fra decine di non-alternative, medi, piccoli e piccolissimi partiti che si troveranno gioco forza a scegliere fra l’estinzione a mezzo sbarramento e l’ennesima alleanza di merda (in cui conteranno meno dell’alleato, Alfano o Grillo che sia, che starà comunque a destra), o allearsi fra loro, creando una nuova radiosa coalizione che verrà poi fatta deflagrare fra le lacrime alla prima votazione su un tema etico, come è già successo le ultime tre o quattro volte.
Il 28 luglio 1981 Enrico Berlinguer rilasciò un’intervista a La Repubblica di Scalfari (perché all’epoca non c’era ancora la colonna coi gattini e si poteva dare spazio a contenuti di rilievo) evocando la “questione morale”, puntando il dito non solo e non tanto contro i malfattori all’interno della politica, quanto contro “l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti”. Parlava, principalmente, della DC, ma soprattutto parlava di un modo di intendere e di fare politica.
E questo è il PD nel 2017:
Poi non meravigliamoci se la gente s’incazza e vota Grillo.
Io non ce l’ho con i “dissidenti” del PD, che poi sono quelli che fino a l’altro ieri erano lo zoccolo duro del partito. Per quanto trovi abbastanza odioso quando qualcuno ribalta il tavolo solo perché non sta più vincendo, non ce l’ho con loro, perché neanche a me piace il leaderismo di Renzi. E capisco che sia frustrante e avvilente vedere il proprio partito, nato almeno in parte sulle gloriose ceneri del PCI, che si smembra dalle fondamenta: dev’essere terribile vedere l’Unità che muore, la base che si allontana e i circoli vuoti, sostituiti dalle slide sul jobs act durante la performance in streaming su twitter dell’ex-premier, che peraltro non riesce neanche a pronunciare correttamente le parole che compongono la frase, col segretario-candidato che incurante di qualsiasi avvertimento, tracollo o dissenso procede dritto verso il disastro.
Scusate, finisco di piangere e continuo.
Sì, è frustrante. Così come è frustrante vedere la sinistra frammentata, divisa, litigiosa, con piccoli leader attaccati ai piccoli simboli dei loro piccoli partiti, incapaci di trovare un accordo su una questione che sia una, incapaci di tener fede alle alleanze o di fare una mainfestazione che non finisca con lanci d’insalata e provocazioni violente. Partiti così divisi e caotici da essere impossibilitati a costruire qualcosa di laico, progressista ed egualitarista. Insomma, tornando a Nanni Moretti, incapaci di fare “qualcosa di sinistra”.
E quindi? E quindi non lo so, ma se la sinistra, o il centro-sinistra, o quel che è, non riesce a smettere di parlarsi addosso e non ricomincia a parlare alla gente, si assisterà solo a una frammentazione sempre più profonda, in cui le percentuali continueranno ad assottigliarsi finché non diventeranno tanti zero virgola qualcosa.
Perché è vero che “uno vale uno” era una buffonata, ma anche “tanti valgono zero” è una pagliacciata niente male.
[M.V.]