Un posto in prima fila.

collodipapero

Ultimamente m’è presa un po’ di pigrizia. Anzi, a dire il vero m’è presa un po’ di quella sensazione di noia mista a inquietudine che i colti chiamerebbero uggia e che io, in più prosaicamente, tendo a chiamare pesantezza di culo. Dev’essere che mi sono un po’ rotto le palle del continuo polarizzare verso gli estremi qualsiasi discussione, sia che si parli di temi complessi come l’immigrazione, sia che si parli di temi etici, sia che si parli di puttanate come l’ananas sulla pizza o la pubblcità dei Buondì, dimenticando il fatto che – di base – con la propria opinione (soprattutto espressa online, e in particolar modo su Facebook) ci si potrebbe anche pulire il culo, e il fatto di ritrovarselo più merdoso di prima dovrebbe dare la misura dell’utilità dell’opinione stessa, e nel dire tutto questo mi riferisco ovviamente anche alla mia, di opinione.

Ma ogni tanto succede qualcosa che mi fa tornare la voglia di scrivere nonostante io sappia che riceverò probabilmente qualche insulto di troppo per averlo scritto, e nonostante io sappia benissimo che la mia opinione ha il valore che ho poc’anzi descritto. Pazienza: alle brutte, alla fine, mi pulirò le dita.

È rimbalzata un po’ ovunque la lite avvenuta in testa al corteo contro la violenza sulle donne “Non una di meno” avvenuto a Roma qualche giorno fa (e che ha avuto per fortuna un ottimo successo, con oltre 150.000 presenze, fra donne e uomini), in cui un gruppo di attiviste ha impedito a un uomo di manifestare in prima fila. La lite è stata ripresa da diverse testate, per cui chi volesse vedersela può tranquillamente armarsi di pop corn e guardarsela, probabilmente lasciando lì i pop corn, che certa roba – almeno a me – fa passare pure l’appetito.

Perché se da un lato trovo sensato che la testa di un corteo del genere, anche alla luce della situazione attuale, veda in primissima fila le vittime di violenza e le attiviste di più lungo corso, e anche se trovo un po’ assurdo mettersi a bisticciare durante una manifestazione (e trovo sensato l’appunto di chi invita a porre la questione prima, durante una delle assemblee organizzative), dall’altro trovo enormemente fuori luogo una serie di frasi pronunciate da alcune attiviste durante il diverbio: sia quelle che alludono a una diversità fra uomo e donna, sia quelle volte a insultare qualcuno che è venuto a manifestare per una serie di diritti e per l’uguaglianza degli stessi senza che vengano fatte distinzioni di genere (in particolare ci tengo a sottolineare che la ragazza che si avvicina col megafono per urlare nelle orecchie del ragazzo, che è un atto di prevaricazione senza se e se e senza ma, citando il mi’ nonno, “l’avessi in culo la andrei a rica’a a Montescudaio”).

Mi spiace, ma dire che quella manifestazione sia “una cosa che riguarda le donne” – come se questo escludesse automaticamente gli uomini – è semplicemente un controsenso. In questo modo la manifestazione diventa “una manifestazione di sole donne contro la violenza perpetrata dagli uomini sulle donne”, che non solo è il modo più divisivo possibile che mi viene in mente per approcciare il problema, ma anche in assoluto il meno funzionale. Badate bene, non sto negando il dato per cui maggior parte delle violenze (e a maggior ragione quelle basate sul genere) viene commessa da uomini, né che le vittime siano prevalentemente donne, né è mia intenzione mettere in dubbio la gravità e l’estensione del problema, ma è anche vero che la miglior difesa da parte di chi si oppone alla violenza sulle donne sarebbe di far capire agli uomini che essere violenti è sempre sbagliato, e questa cosa è abbastanza difficile da fare senza coinvolgere gli uomini.

Escludendoli dal centro nevralgico della manifestazione di fatto si crea un’ulteriore divisione in un contesto che dovrebbe invece unire. Sarebbe come se a una manifestazione contro l’omofobia l’associazione promotrice, composta da omosessuali, impedisse agli eterosessuali di sfilare a fianco degli altri e li relegasse in fondo al corteo. Non ha senso, davvero. Quando ho partecipato a qualche manifestazione pro-diritti LGBT ho sempre sfilato in testa o sotto qualche carro su cui ballavano e cantavano ragazzi e ragazze, senza che nessuno si chiedesse quale fosse il mio orientamento sessuale.  Non solo: nessuno si è neanche lontanamente sognato di dirmi che, in quanto etero, sarei dovuto stare in disparte o nelle retrovie. Perché, se lotti per un qualche tipo di uguaglianza, l’uguaglianza nella lotta è la cazzo di fottutissma base da cui partire.

Semmai, il problema che vedo è che non c’erano gruppi di uomini a chiedere di stare davanti, ma solo un isolato singolo. Come se ormai venisse dato per scontato che la presenza maschile fosse di troppo, quando invece quella stessa presenza avrebbe dovuto essere massiccia e sentitissima: sarebbe dovuta essere la cosa più normale del mondo, sfilare a fianco delle proprie compagne, madri, figlie, sorelle o amiche per far capire a chi non l’ha ancora capito che la violenza è sempre sbagliata.

Che la maggioranza degli uomini pensi “vabbé, problema loro” e che le donne in primis siano d’accordo che vada bene così è davvero, e drammaticamente, la cosa che mi spaventa di più.

Insomma, qua c’è un problema: il problema è che la battaglia che viene combattuta, ancora una volta, non è da parte di persone pacifiche e ragionevoli contro un concetto sbagliato – il sopruso, l’abuso, la violenza – ma uno scontro di persone contro persone, sulla base di una qualche differenza.

In questo modo, però, ottenere qualcosa il cui fine ultimo dovrebbe essere l’uguaglianza, mi spiace, ma dal mio modestissimo punto di vista è quantomeno contrattiddorio. E si rischia di ottenere, se non l’effetto contrario, molto meno di quanto non solo non si potrebbe, ma sarebbe giusto e auspicabile.

In ogni caso, e in via precauzionale, vado a lavarmi le mani.

[M.V.]

9 risposte a "Un posto in prima fila."

  1. L’ha ribloggato su AndreaTaglioe ha commentato:
    Eh, gran bel post con riflessioni giustissime su un problema che, volenti o no, ci tocca tutti.

    Io non partecipo alle manifestazioni, ma in principio sono d’accordo su tutta la linea del problema: esiste il sessismo e bisogna combatterlo, esiste la violenza sulle donne in mille forme e cerco di comportarmi trattando le persone come pari, indipendentemente se uomini o donne – per un senso di giustizia personale, se non altro.

    E poi c’è confusione – anzi, IO sono confuso – perché sembra non essere questa la materia del contendere. Sembra che il problema vada oltre la realtà sociale, in una ridefinizione della realtà stessa in qualcosa di orwelliano, in chiunque potrebbe essere – anzi, È – il nuovo Weinstein; e non servono nemmeno condanne giudiziarie: la semplice appartenenza al genere maschile è già sufficiente per stabilire la colpa (cfr http://www.wittgenstein.it/2017/11/13/molestie-sessuali-garantismo/ e http://www.ilpost.it/giuliasiviero/2017/11/14/le-donne-parlano-molestie-problema-del-garantismo/ – il “problema” del garantismo! “Problema”!!!).

    E la mia bussola sballa completamente: dove devo mettermi in una situazione in cui sarei d’accordo, ma in cui l’accusa va oltre ogni mia sensazione di ciò che è ‘giusto’ e si chiede di sfondare ogni resistenza – perché il femminismo radicale considera sbagliati già gli assunti sulla cui base giudichiamo, e ne propone altri, nuovi, e ogni resistenza a questa nuova prospettiva non è mai ragionata o ragionevole – non può esserlo, visto che si parla di assunti – ma è dovuta solo alla protezione di privilegi patriarcali.

    Ecco, queste sono argomentazioni non-logiche – e mi spiace dirlo, ma vanno fermate: non me ne frega niente se la causa è giusta e il patriarcato si è comportato male e ha preso possesso del mio corpo e della mia tastiera.
    Il problema è lo stesso del mansplaining: come definisci il mansplaining quando magari la donna ha DAVVERO torto?(oggettivamente dico! Mica tutte le donne sono Rebecca Solnit e mica tutti gli uomini spiegano solo ovvietà! Potete averne una prova concreta qui: https://wordpress.com/read/feeds/39159/posts/1660151862).

    Forse qualche intellettuale migliore di me potrebbe dirlo ad alta voce? Che per ragionare insieme su un problema che c’è, che esiste, e che è giusto affrontare e risolvere insieme, occorre per prima cosa e convincere (con-vincere, vincere insieme).

    Ecco, questo è il mio mansplaining, se così volete chiamarlo, ma se avete una idea migliore e siete convinti che io abbia torto dimostratelo con argomenti che siano almeno quasi-logici, che sennò da qualche parte Perelman/Olbrechts-Tyteca piangono, come gli angioletti quando un bambino bestemmia

  2. Anche stavolta sono d’accordo con te, ma anche stavolta secondo me sei troppo tenero. Parafraso quello che hai scritto: “Badate bene, non sto negando il dato per cui maggior parte degli omicidi negli USA viene commessa da afroamericani, ma è anche vero che la miglior difesa da parte di chi si oppone alla violenza sui bianchi sarebbe di far capire agli afroamericani che essere violenti è sempre sbagliato.”
    Ora, è vero che la maggior parte degli omicidî negli USA sono commessi da persone di colore? Sì. È vero che uccidere un bianco è sbagliato? Sì. È giusto far capire che essere violenti specificamente agli afroamericani? No, è razzista e basta.
    Per questo motivo, il fatto che ci fosse una larga partecipazione di uomini in una manifestazione contro la violenza sulle donne, per me non è una bella notizia, neanche se stanno in cima al corteo. Significa che ormai per un uomo è un valore comportarsi da zerbino. È come quando si chiede ai musulmani di dissociarsi dagli attentati terroristici di matrice islamica. Io non ho mai commesso violenze contro le donne, anzi le ho subite e mi è stato detto che era colpa mia che dovevo aver fatto qualcosa di sbagliato, perciò, per conservare un minimo di dignità, l’unica risposta che potrei dare a qualcuno che mi dice che, solo perché sono un uomo, devo capire che la violenza sulle donne è sbagliata è un secco vaffanculo.
    Piuttosto continuerò a fare quello che ho sempre fatto, ossia fregarmene di queste manifestazioni, continuare a non fare violenza alle donne e denunciare situazioni di violenza di cui potrei essere a conoscenza.

  3. Ciao,sono il ragazzo della lite.
    Sono completamente d’accordo col tono del tuo articolo,hai centrato perfettamente il punto.
    Ci terrei inoltre a precisare anche sul fatto che sono perfettamente d’accordo sul fatto che un corteo non fosse il luogo più adatto per discutere,ed infatti non era quella la mia intenzione.
    Semplicemente me ne stavo per i fatti miei,a fare foto e manifestare,quando una delle organizzatrici mi è venuta vicino con un megafono,per lanciare il messaggio che gli uomini dovevano andarsene in fondo al corteo.
    Questi atteggiamenti c’erano già stati alla manifestazione dell’anno scorso,ed in un primo momento avevo seguito quest’ordine,per poi spostarmi nella parte frontale del corteo senza che nessuno si lamentasse.
    Speravo quindi di aver capito male,che si trattasse solo del proclama di qualche esaltata (come mi è stato riferito anche si internet).
    Purtroppo però le signore con cui mi sono scontrato si sono qualificate come organizzatrici della manifestazione,anche se non saprei se fosse vero o meno.
    Se quest’anno ho risposto alle loro provocazioni è anche perché è si vero che erano presenti molti uomini alla manifestazione,ma tanti hanno storto il naso,se ne sono andati oppure non sono proprio venuti.
    Per l’importanza che do a questa battaglia è un danno che non mi sento di tollerare.
    Per fortuna moltissime donne del corteo non hanno mostrato il minimo problema a manifestare con degli uomini al fianco,così come tanti altri uomini se ne sono infischiati dei loro proclami ed hanno manifestato in testa al corteo,senza fare polemiche plateali (esattamente come avrei voluto fare io,se non fossero venute loro a provocarmi).
    Perché comunque era una manifestazione di tutti,una battaglia di tutti.
    Per questo ho intenzione di raccogliere l’invito di quella donna e partecipare alle riunioni che precederanno la manifestazione del prossimo anno:per discuterne con loro e magari riuscire a fargli comprendere il danno che stanno facendo al loro stesso movimento.

    1. Grazie per la testimonianza.
      Se ti va, facci sapere come vanno le assemblee: siamo convinti che – come spesso succede – le persone “esaltate” siano una minoranza, e che col dialogo e la collaborazione si risolvano molti problemi, e partecipare attivamente potrebbe essere un ottimo inizio.

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