La stampa critica l’app che “contrattualizza” i flirt.
L’abbiamo imparato dalla prima pietra levigata che uno strumento difficilmente è buono o cattivo in sé. Certo il movente alla sua costruzione può essere un buon indizio sul destino della fama di uno strumento, per dire, la ghigliottina e il vibratore partono con qualche punto di distacco tra loro.
Ciò nonostante spesso ci troviamo in confusione all’avvento di nuovi mezzi, come è accaduto con i social. E come sta accadendo ora con i tentativi di mettere un freno alla giungla di conseguenze dell’indignazione da molestia.
Ne abbiamo parlato, delle molestie, dello sguardo troppo languido che ti fa sentire violentata e della violenza vera, quella che dove uno sguardo equivale a violenza, equivale a uno sguardo. Abbiamo parlato forse un po’ meno dei rischi dell’abuso di questa “sensibilità” in termini legali, là dove non si tratti di sfruttamento dello stigma per marchiare innocenti.
Un problema che gli autori dell’app in questione, un’app che vorrebbe sostanzialmente fornire un accordo pre-flirt, composto da permessi e autorizzazioni a questa o quella interazione, hanno evidentemente ritenuto abbastanza reale da richiedere uno strumento, uno strumento per mettere a riparo non dai rischi della delusione da rifiuto, come sostiene l’autrice dell’articolo, bensì dalle conseguenze di accuse più o meno pretenziose.
L’autrice sostiene che questo strumento sia sintomo della pochezza umana odierna. Un concetto che mi vede parzialmente d’accordo: l’uomo è sempre stato una merda.
Ma oggi è comunque arrivato ad un punto per cui se qualcuno viene accusato di violenza se la passa male a prescindere dalla fondatezza delle accuse, mentre “prima” poteva comprare la vittima e continuare a casa. Forse da un eccesso all’altro, ma ho come l’impressione che le cose non siano peggiorate, nel tempo, anche se continuiamo a barcollare intorno al concetto di giustizia.
Dove invece concordo con la signorina, è quando sostiene che c’è davvero qualcosa che non va nella testa (e nell’educazione) delle persone, che non sanno comportarsi. E certo bisognerebbe lavorare tanto e tanto di più su questa parte, ma come nel frattempo si lavora legalmente, marzialmente e strategicamente per tutelare le potenziali vittime di abuso, è pur giusto che si lavori per tutelare le potenziali vittime di ingiuste accuse.
Certo che stiamo usando un Kleenex come preservativo, ma un danno in meno su un milione di colpi è comunque un danno in meno, e nel contempo il messaggio “cazzo, forse abbiamo un problema” passa. Quindi sì, il fatto che qualcuno abbia realizzato quest’app è sintomo di un problema, ma il problema non è nella follia di chi ha realizzato un’app, bensì in chi crede che sia nata senza un motivo.
Perché chi critica questa iniziativa non è da meno di chi critica le iniziative contro la violenza, molte saranno ridicole nella presentazione e nell’esecuzione, ma tutte denunciano una necessità concreta, quella di sentirsi tutelati, sicuri di poter vivere anche gli aspetti più banali della vita sociale senza rischiare di finire violentati, incarcerati, o comunque reietti, per capriccio di qualche male intenzionato.
Quindi miss “non ci serve un’app che ci chieda il consenso prima del sesso“, invece, evidentemente sì. Magari non a me e a te, che sicuramente troveremmo il modo di capire se possiamo divertirci, se possiamo esprimere e arricchire liberamente la nostra sessualità l’una con l’altro, ma come la tua sfiducia nel genere umano suggerisce, non tutti hanno questa pazienza, questa sensibilità, questa capacità, quindi uno strumento che li aiuti in questo senso non può che essere benvenuto e, nella migliori delle ipotesi, inutilizzato.
[Diego Cerreti]