Wired violenta il corpo ancora caldo di Mattia Labadessa.
Il fattaccio: Un fumettista fa una battuta sullo stupro e la rete lo bacchetta.
Giusto, no?
Il fatto: Mattia Labadessa, fumettista di ultima generazione, scrive un post sul proprio account personale di Facebook in cui ipotizza un’app che addormenti e ti faccia fare sesso con una ragazza di cui ti sei innamorato.
Gli arrivano valanghe di segnalazioni, proteste, accuse, offese e minacce. Facebook gli cancella il post e lo blocca per ventiquattro ore. Wired sente puzza di cadavere e fiancheggia il branco per violentare l’indifeso ragazzo attraverso accuse di incitazione allo stupro, di fatto accusandolo del reato di istigazione a delinquere.
Il ragazzo, al ritorno, accampa delle scuse che non accontentano nessuno, né gli accusatori, che ci trovano il pretesto per validare la propria aggressione, né noi, che non abbiamo mai pensato avesse nulla di cui scusarsi.
Quindi da una parte abbiamo un ragazzo che esprime la libertà di pensiero, il black humor o il gusto per una (dolce) perversione, dall’altra una mandria d’indignati che a fronte di una battuta qualsiasi approfittano dello strumento social per scagliarsi contro una persona rea di non soddisfare la loro pochezza intellettuale, e in fine, a passo di carica, la “stampa”, che eccitata dalla scena di stupro di gruppo arriva con la rincorsa e se lo incula a ritmo di Povera Patria.
Non sembra più tanto giusto, vero?
D’altra parte scopo di Wired è fare click, mentre scopo di Mattia è scrivere quel cazzo che gli va. Quindi ognuno, senza pensarci troppo, ha raggiunto il proprio.
La differenza è che Mattia c’è riuscito senza fare del male a nessuno, mentre né quella calunniatrice di Maria Laura Ramello (ciao, sei fantastica, non denunciarci) né tutti gli altri si sono posti scrupolo nella loro aggressione violenta. Un’aggressione in difesa di nessuno, se non del proprio ego violento e frustrato.
In effetti, a guardarla bene, la situazione fotografa il paese: un popolo di sensibilissimi indignati, razzisti, xenofobi, omofobi e violenti. Praticamente delle checche isteriche fasciste.
Ops.
Il che mi riporta alla mente mia nonna che sosteneva: “vedi, scandalo non è la cosa o chi la fa, ma chi la dice.”. E da vecchia bigotta e razzista ne sapeva a più di voi, che non avete nemmeno la scusa di essere vecchi.
A dire il vero l’aggressione da tutti i fronti subita da Mattia non troverebbe giustificazione nemmeno se avesse effettivamente detto qualcosa di terribile, davanti a tanta ferocia non c’è parola che la giustifichi, non c’è contesto che conti.
Branchi assetati di like che sbranano individui in difficoltà, pronti a distruggere una vita (senza sporcarsi le mani) con una violenza che la metà basterebbe a disgustare un cadavere.
Se dovessi spiegare cosa sia la violenza non fisica potrei usare questo come esempio accademico, se dovessi spiegare la violenza fisica invece, difficilmente potrei usare qualcosa di Mattia, se non il culo (da “prendere a calci nel culo”, maliziosi del cazzo).
Chissà se siete gli stessi che difendevano Tiziana Cantone.
E a promemoria, quando tutto ciò capiterà di nuovo con la prossima indignazione, fosse pure per una frase veramente “sconveniente”, ricordatevi di quanto sto per dire, perché vale e varrà per chiunque, a meno che non abbia un ruolo istituzionale, educativo o che stia commettendo effettivo reato: Il fatto che qualcosa non vi piaccia, o che non riusciate a capirlo, non vi autorizza a comportarvi da teste di cazzo.
Anche perché se così fosse dovremmo bruciare quasi tutta la letteratura, tanto per cominciare.
Per quanto riguarda gli aggressori: siete dei mentecatti, iracondi, minorati, violenti, bulli, e umanamente svantaggiati. Siete un danno per lo sviluppo umano, siete il terriccio da cui fiorisce il male. In due parole: fate schifo.
Per quanto riguarda Wired c’è poco altro da dire se non “vergogna“. Se fate le Iene, qualcuno ve lo deve dire.
Per quanto riguarda Facebook vale altrettanto, poco più che un dildo per perpetrare queste violenze: a fronte di pagine, gruppi e miriadi di post criminali onnipresenti sul social, la solerte piattaforma ha cancellato il post e bandito il ragazzo. Un po’ come quando tutti picchiano un bimbo, arriva la maestra e sgrida il bimbo mettendolo in punizione. Strumento della democrazia 2.0, manganello e purga delle ronde degli indignati.
Je suis Charlie, voi siete quelli che “eh però se la sono cercata”, noi ridiamo, voi sparate. Sparereste, ma siete troppo merde anche per quello.
E quanto cazzo mi pesa scrivere di “noi” e “voi”, ma questo è il blog dei paperi: ci sono due tipi di persone: quelle per cui questo blog è scritto, e quelle a cui è dedicato.
[D.C.]
Si fatica a capire che la diffusione della rete è in un certo modo un fatto rivoluzionario quanto la diffusione di massa dell’automobile. Una innovazione utile, se gestita secondo regole condivise e previo addestramento degli utenti. Uno strumento devastante in mano a persone inadeguate. Anche per questo sono obbligatorie la patente e l’assicurazione per avere e condurre un’auto.
Servirebbe una patente anche per stare in Rete, dove dovrebbero vigere regole condivise e in cui si potrebbe entrare solo previo corso con esame finale.
Concettualmente ci si arriverà, perché il degrado in rete viaggia su livelli sempre più subumani. In pratica non ci si arriverà mai, finché su quel degrado si innesta un business gigantesco fatto di investimenti sulla tendenza della maggioranza a ragionare con gli intestini.
Vivere socialmente è facile: basta stare dal lato dove si è di più, senza preoccuparsi di chi si ha di fianco. Poi caso mai ci si sposta.
Premetto che non ho visto le critiche al post di Mattia Labadessa, quindi non do giudizi su quanto siano o meno giustificabili. Ho visto solo la sua battuta e l’ho trovata sconveniente. Divertente, ma sconveniente. E se non sono del tutto sicuro di condividere la scelta di rimuoverla, per lo meno credo che se ne debba discutere e non accettarla e basta, in quanto semplice espressione di libertà di parola. E’ un discorso vecchio quello sul black humor e quanto sia giusto consentirlo. Personalmente credo si debba valutare caso per caso, ma credo che un limite ci sia, anche se varia con tempo e cultura.
Quello che critico di questo post è il fatto che sembra giustificare ogni forma di comicità, per quanto spinta, “a meno che [l’autore] non abbia un ruolo istituzionale, educativo o che stia commettendo effettivo reato”. Il problema è che, anche se ufficialmente il ruolo educativo ce l’hanno gli insegnanti, oggi una persona molto seguita su facebook credo che abbia più potere della maggior parte degli insegnanti nell’influenzare il modo di pensare delle persone.
Se Mattia avesse detto questa battuta a un gruppo di amici o l’avesse condivisa in un gruppo privato non ci avrei trovato nulla di male, ma nel momento in cui sei una persona che ha un certo seguito pubblicamente (non so quanto seguito abbia lui, ma non è questo il punto), che tu sia Berlusconi o un personaggio famoso dello spettacolo, l’influenza che hai sulle persone è potenzialmente la stessa. Quindi, se non giustifichi l’uno non dovresti giustificare neanche l’altro.
riassumendo:
se un artista scrive un post pubblico (sul suo profilo social che è seguito da ventiduemilanovecento persone, non da 15 amici), dichiarando che ci vorrebbe un’app per stuprare, ok, allora va benissimo perché è black humor.
se una giornalista sul suo giornale critica l’infelice battuta e le scuse che sono seguite, ragionando sul messaggio inconscio che veicolano, no, allora è violenza, brutta giornalista! cattiva! non si fa!
Se devi riassumere, riassumi bene.
Se un artista scrive un post pubblico, facendo una battuta (che nessuno dice sia venuta bene o fosse una perla di buongusto, non lo è in entrambi i casi, ma non è questo il punto) su un tema che infastidisce qualcuno, chi è infastidito ha tutto il diritto di esserle contrariato e di manifestarlo: se possibile, ma non obbligatoriamente, in modo costruttivo; si può anche essere solo critici, ma ovviamente la critica non deve scadere nell’ingiuria o nella calunnia, che sono reati, o nella censura, che sarebbe una negazione del diritto di espressione (a meno che, di nuovo, l’espressione di un’idea non implichi un’istigazione a delinquere o un’apologia di reato).
Se una giornalista sul giornale per cui scrive, nell’esprimere il suo dissenso per la battuta in oggetto, accusa l’artista di istigazione a delinquere e quest’accusa è infondata (e lo è, a meno di non trovare un giudice che avalli l’ipotesi che qualcuno sano di mente a causa di quella battuta è stato spinto a stuprare qualcun altro), si tratta sostanzialmente di calunnia (vedi sopra). Se la web-folla-inferocita si fa giudice, giuria e anche boia oscurando e tappando la bocca a un’artista, si lascia passare il messaggio che la web-folla-inferocita sia legittimata a zittire in modo coercitivo chiunque dica qualcosa che non piace. Se permetti, questo è proprio il fottuto contrario rispetto al concetto di “libertà d’espressione”.
Ora, capiamoci: secondo me fare battute (magari pure brutte) sullo stupro è stupido. Perché, sempre “in my humble opinion” è vero che trattare – seppur in contesto ironico – certi temi con leggerezza rischia di “normalizzarli” o quantomeno di sminuirne la gravità. Ed è altrettanto vero che Labadessa, oltre al fatto che la famosa battuta era più creepy e viscida che qualsiasi altra cosa, ha commesso diversi errori di comunicazione: non ha definito bene il contesto, non ha considerato il target, non ha considerato la sensibilità del suo pubblico di riferimento, la battuta non aveva una catarsi positiva o un ribaltamento della prospettiva, le scuse erano fuori focus e quasi peggioravano la situazione etc etc.
Ma, in ogni caso, reagire a una battuta censurando chi la fa è, secondo noi, una cosa molto pericolosa.
Io detesto le vignette di Ghisberto, mi stanno sul cazzo e le trovo odiosamente sessiste, razziste e vili, ma non mi sognerei mai di chiedere metaforicamente la testa del vignettista. Mi auguro che lo segua sempre meno gente, spero che chi vuole farsi una risata scelga altri canali, posso criticarlo anche aspramente, ma non chiederò mai che gli venga tappata la bocca.
Chi è che decide cosa può essere detto e cosa no? Chi è che decide se a un artista è permesso esprimersi o meno? Qual è la pena per aver detto qualcosa che, pur non infrangendo nessuna legge, sta sulle balle alla web-folla-inferocita? Oggi è una tempesta di insulti e la censura da un canale di comunicazione. Domani cosa sarà?
bella risposta (non sono ironica: è chiara, esaustiva, educata).
sono andata a rileggere l’articolo su wired e niente, non riesco a vedere quello che leggi tu e la cosa è reciproca.
a me sembrano considerazioni, ragionamenti, su una battuta. non vedo calunnia o attacco personale immotivato.
c’è la parola “criminale”, si, ma definirla violenza lo vedo eccessivo e lo so che la pensiamo in modo opposto.
a me pare (“pare” perché è così che leggo io ed è evidente che è una mia interpretazione) che nel momento in cui una persona punta (consapevolmente o meno) una battuta su un argomento tanto delicato, sta diffondendo la cultura dello stupro, ovvero sta scherzando sulla legittimità dello stupro. questo non significa che sia uno stupratore o che stia cercando di indottrinare qualcuno, però sta rafforzando uno stereotipo, con tutte le conseguenze che comporta.
purtroppo la stessa battuta da parte di una donna non solo non avrebbe causato tutto questo scalpore, ma non avrebbe avuto lo stesso impatto, perché una battuta di questo genere da parte di una donna automaticamente risulta solo una brutta uscita, non rafforza nulla, proprio perché culturalmente lo stupro sulle donne è stato legittimato fino all’altro ieri, è una cosa maschile.
non sono brava a spiegarmi su cose così delicate e la scrittura non aiuta, ma continua a tornarmi in mente un episodio successo poco tempo fa.
un amico lavora in un supermercato ed è la normalità durante la giornata commentare le clienti. commenti pesanti, detti con leggerezza. roba “da camionisti” come si dice da queste parti, tipo “a quella lì darei due badilate sulla schiena e poi…” commenti fatti anche davanti alle colleghe, sempre con leggerezza.
giorni fa un ragazzo assunto da poco (qualche mese), si è strusciato su una collega mentre questa caricava uno scaffale. e l’ha fatto ridendo e ammiccando al mio amico. e c’è rimasto male quando il mio amico gli ha detto di tutto e ha minacciato di portarlo dal direttore.
non stavano scherzando in quel momento, la collega non ha riso né gradito, questo sia chiaro.
così una sera ci siamo fermati a riflettere su questo lampo di genio del ragazzo, che probabilmente si è sentito rafforzato dal clima pesantemente goliardico che c’è tra colleghi, ed è passato dalle parole ai fatti. il ragazzo è uno stupido senza ombra di dubbio, ma il mio amico si sente responsabile perché ha contribuito a creare il clima sulla base del quale questo ragazzo si è sentito legittimato ad agire.
ecco, forse alla base della nostra differente lettura dell’articolo c’è questo episodio.
chiedo scusa per eventuali errori o fraintendimenti, ho scritto di corsa.
grazie ancora
Grazie della risposta e dell’esempio, che trovo molto significativo.
Sto scrivendo adesso un articolo sulla vicenda dal punto di vista della comunicazione e trovo che quello che hai detto sia sostanzialmente corretto, tanto che – come ho detto nella discussione nata su facebook – sono d’accordo che certi concetti possano avere effetti negativi. Però, per esempio, il clima goliardico fra colleghi è diverso da un comico che fa una battuta. È diversa la finaltà della comunicazione, la frequenza con cui avviene, è diverso il registro etc.
Sono, davvero, d’accordissimo con quello che dici sulla normalizzazione della violenza (sessuale, in questo caso) e come dirò secondo me il problema fondamentale della battuta di Mattia è, oltre che il modo in cui è stata fatta, anche il canale della comunicazione e il contesto.
E trovo assolutamente legittimo, ripeto, pensare che sia una brutta battuta, una battuta rischiosa rispetto al tema e che può contribuire a far sembrare lo stupro qualcosa di meno grave; è legittimo pensare che sia una battuta che non solo può non far ridere, ma anche incazzare. Trovo parimenti legittimo manifestare civilmente il proprio dissenso – come ha fatto giustamente qualcuno dicendo a Labadessa “Matti’, ma ti rendi conto della stronzata che hai scritto? È orribile!”. Si tratta di uno scambio di opinioni, della normale e fisiologica critica che il fruitore ha il diritto di fare a un artista (che poi deciderà che farne una volta che l’avrà ricevuta, tipo “non scrivere più battute gonfio di lexotan”.
Quello che non trovo legittimo, invece, è paragonare (esplicitamente o implicitamente) la brutta uscita di Labadessa a un crimine, o pensare che il fatto che abbia fatto quella battuta conferisca a terzi il diritto di insultarlo, o ancora che una persona, per una battuta uscita male, debbe meritarsi di essere zittito.
Il paragone è esagerato a livello di forze in campo, ma davvero ci vedo la stessa matrice concettuale per cui se Charlie Hebdo fa una battuta su Maometto chi la trova offensiva o dannosa o whatever si sente in diritto di “chiuder loro la bocca”. Ovviamente un ban di qualche ora non è una sventagliata di mitra, ma se ci pensi non è che concettualmente siamo molto lontani. “Se mi offendi la mamma, ti dò un pugno” (cit).
Insomma, in realtà sono d’accordo con quello che scrivi, solo non credo che sia una motivazione sufficiente per “zittire” qualcuno (o insultarlo, o augurargli il cancro, o augurargli che gli stuprino la mamma, o quel che è), al massimo può essere un’occasione per parlargli e provare a fargli capire secondo noi dove ha sbagliato e perché.
Ma questo umanamente: artisticamente sono fatti suoi, se fa battute che non piacciono a qualcuno, quel qualcuno non lo seguirà, non comprerà i suoi libri, non lo consiglierà a nessuno, e questo va benissimo. Che invece prema un tasto magico che fa sì che quella persona non parli proprio più, ecco, mi piace davvero pochissimo, perché oggi è Labadessa, domani potrebbe essere chiunque di noi.
riflettevo su questa tua frase: “il clima goliardico fra colleghi è diverso da un comico che fa una battuta. È diversa la finaltà della comunicazione, la frequenza con cui avviene, è diverso il registro etc.”
siamo sicuri che ci sia tanta differenza? riguardo ad una battuta online, non una battuta pronunciata in uno spettacolo.
per me si, sicuramente, ma per un ragazzo?
labadessa, per esempio, non ha scritto quella battuta sulla pagina dove pubblica i fumetti, la pagina ufficiale, diciamo, ma sul suo profilo personale (seguitissimo, quindi a lato pratico cambia poco).
per me sarebbe impensabile scrivere su Facebook quanto dico ad una serata tra amici, ma per un ragazzo cresciuto con i social, è altrettanto impensabile?
ho 38 anni, utilizzo i social, prima usavo i blog, prima ancora i forum, prima ancora parlavo solo con gli amici e scrivevo lettere.
un ragazzo di vent’anni non ha fatto questo percorso, non è detto che sappia distinguere nettamente tra ambito privato e pubblico (è un discorso generale, non certo su labadessa).
penso alle battute tra colleghi e colleghe e penso ai gruppi su fb in cui si dice anche peggio, perché tra colleghi si parla, sul web si mostrano foto e video.
quindi mi chiedo: è chiaro a tutti che la comunicazione è differente? per me no, anzi è ancora peggio.
ecco, secondo me se fosse così chiaro, quella famosa battuta non sarebbe neanche stata scritta (sempre che sia vero che lui l’abbia scritta con leggerezza, senza pensarci troppo).
poi, per carità, le cazzate si fanno e si dicono, magari la battuta sarebbe stata fatta lo stesso, eh, ma ripeto che labadessa è solo un esempio.