C’è questo pensiero che mi gira in testa da un po’. Non è che sia un assillo, intendiamoci; non è uno di quei chiodi fissi che non ti fa dormire la notte. Però sì, lo ammetto. Ci penso, abbastanza spesso, e lo faccio da un po’, e però è come se mancasse un pezzetto, come dire: un detonatore. Chiamiamolo così. Un innesco. Che, (s)fortunatamente, il caro vecchio Primo Aprile non ha tardato a fornire.
Notoriamente, infatti, il primo giorno del quarto mese dell’anno è dedicato agli scherzoni. Il cosiddetto “Pesce d’aprile”, sapete. E sì, ok, lo sappiamo, abbiamo capito che ormai non si riesce più a distinguere le robe vere da quelle false in modo quotidiano. Sì, ok, lo sappiamo, abbiamo capito che avete deciso: il Primo di Aprile, come la Festa delle Donne e la Festa della Mamma e Natale e via dicendo, va festeggiato tutto l’anno, disseminando e spargendo a piene mani stronzat, ops, FAKE NEWS alle quali abboccare come deficienti ai primi passi nel mondo.
E però, ragazzi, il pensiero che mi frulla in testa è un altro. Non so se anche voi ci avete pensato, qualche volta. Non so se anche voi ve ne siete resi conto.
Stamani mi sono svegliato e, scorrendo le notizie, ne ho notata una che mi ha fatto secco. A Sansepolcro, in provincia di Arezzo, esiste addirittura un comitato vero e proprio che si occupa di organizzare gli scherzoni del Primo Aprile. Quest’anno si sono superati, ricostruendo in plexiglas uno degli antichi portoni ottocenteschi che sbarravano l’ingresso in città, e piazzandolo sotto l’antica Porta Fiorentina. In tanti ci sono cascati come pere cotte: i più si sono arrabbiati (ovviamente, solo ed esclusivamente socialnetworkamente parlando), altri si sono incupiti, pochi ci hanno riso sopra.
Ganzo, no?
No. I tre del Comitato Scherzi (a proposito, saranno anche loro Scimmie Spaziali?) sono stati denunciati, come riportato da alcuni siti d’informazione, perché la loro “installazione” avrebbe – cosa che non è successa, ma sarebbe potuto succedere – impedito l’accesso al centro cittadino ai mezzi di soccorso. E pare che la querela non sia uno scherzo.
Nello stesso giorno, il giorno in cui ci si dovrebbe tutti divertire un monte, anche la politica non ha fatto mancare il suo contributo. Il buon vecchio sindaco di Parma, l’epurato a cinque stelle Pizzarotti, ha scritto uno status su Facebook in cui diceva, lo avrete senz’altro letto, che Di Maio e Salvini gli avevano chiesto, in modo congiunto, di fare il premier. Va da sé che sarebbe sembrata una stronzata anche all’ultimo degli stronzi. Non è che si debba essere biografi di uno dei tre figuri in questione per capire l’inghippo. E in definitiva, dai, alla fine è stata pure una cosa simpatica.
Ganzo, no?
No. Il grandisssssimo popolo dei fenomeni, che ricordiamo essere maggioranza in questo paese, ha scambiato il pasquale risorgere con il più avvezzo (per loro) insorgere: minacce a Pizzarotti, offese di tutti i tipi, e badate bene: tutto ciò sia prima che si rivelasse che era tutto uno scherzo che dopo. E va bene che alla fine Pizzarotti alle offese e alle minacce c’è abituato. E va bene che fare la figura del coglione non garba a nessuno, ma dai. Non ci si poteva fare sopra una risata?
No.
Ed è qui che volevo arrivare. Ed è questo il punto da cui siamo partiti, la chiusura della curva paradossale che ci attanaglia la gola come un serpente che ci vuole strangolare.
Com’è possibile che in questo paese, oggi, non rida più nessuno?
Lo so, lo sappiamo: questa è una generalizzazione, e delle più bieche. O forse è solo un’impressione. Ma non ci avete fatto caso anche voi? Da quando la grandissssima ondata moralizzatrice di stocazzo si è abbattuta sui lidi poveri e bellissimi della nostra cara amata martoriata patria, tutto s’è fatto ridicolamente serio. Tutto, o quasi, s’è fatto livido.
Livido come la cattiveria. Perché dai, su. Fa impressione pensare che un movimento con a capo un comico sia diventato (o lo è sempre stato?) così becero, così cattivo, così astioso. Che poi a me Grillo non mi ha mai fatto ridere, ma questo è un altro discorso. A cospetto di ciò, perfino la “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria pare una barzelletta. Fa impressione vedere le interviste ai vari figuri che prima non andavano in televisione per non “infettarsi”, dicevano loro sempre con grande simpatia, mentre a quanto pare ora hanno cambiato idea. Guardateli, ascoltateli. C’è cattiveria in ciò che dicono, c’è astio, sottolineato da quello che più che un sorriso d’accondiscendenza è un vero e proprio ghigno: ma si sa che uno degli effetti collaterali della purezza d’animo è l’altezzosità. E chi vi scrive è un toscanaccio vecchia maniera, a noi il vetriolo lo iniettano in vena appena nati, ancora prima dei vaccini. Noi sappiamo distinguere il piacere della burla, anche pesante, dalla bile.
La bile. Abbiamo smesso di ridere, abbiamo smesso di pensare che, in fondo, se n’andassero a fanculo. Sembra di essere in un episodio (o forse, in più episodi) di Games of Thrones: lo avete visto? Se non lo avete fatto, rimediate. Perché a un certo punto, in questa storia incasinatissima in cui tutti ammazzano tutti e tutti trombano tutti e così via, entra in scena una setta dedita alla povertà, all’equità e così via. No, non è il Movimento Cinque Passeri, ma poco ci manca. Così come, a pensarci bene, verrebbe da riguardarsi (o meglio, rileggersi – fino a quando ce lo lasceranno fare) Il Nome della Rosa di quell’Umberto Eco che dell’ironia ha fatto chiave di volta della sua vita e della sua produzione letteraria ed intellettuale: tutta quella discussione sulla liceità del ridere, secondo Aristotele, nella sua Poetica, sapete no? “Cristo non rideva mai”, dice il vecchio Jorge, mentre “il nostro Francesco era ben disposto al riso” risponde Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville.
Invece noi no. Invece ogni giorno incontro ragazzini di vent’anni che non ridono. Invece ogni giorno mi imbatto in persone che non ti sorridono neanche se fai loro il solletico. Leggi i commenti sui social network e ti viene voglia di battere il telefono in terra perché pensi non sia possibile che davvero ci siano tutti ‘sti stronzi che passano le proprie giornate a insultare, a inveire, a denigrare tutto e tutti. Abbiamo perso tutto, se abbiamo perso la capacità di ridere, perché ridere è una reazione, la reazione finale di un modo di pensare, di vedere le cose, di vivere. Stiamo vivendo tempi in cui ci hanno inculcato il marcio fin dentro all’intestino tenue e non passando dalla bocca, s’intende.
“La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà”, dicevano i Sessantottini nostrani nel 1977 (già questo la dice lunga). E invece il potere se l’è mangiata e poi ce l’ha rivomitata (tanto per rimanere in tema di simpaticissime battute, semi-cit.), la fantasia. Che poi forse forse, alla fine della fiera, a pensarci bene bene, c’hanno ragione loro – dato anche che sono maggioranza: di ‘sti tempi, da ridere, non c’è proprio un cazzo.
[Gianni Somigli]
PS: non v’ha fatto ridere, a proposito, che dopo il nostro pezzo che parlava anche di come fosse roba da pazzi che la Lucarelli dirigesse la parte web di Rolling Stones, la Lucarelli abbia lasciato la direzione della parte web di Rolling Stones? Sì dai, questa fa ridere.
Mi sono accorto che anche io non è che stia ridendo così tanto.
Sto benissimo, se devo segnarmi l’appunto: “ridere di più e ritrovare il senso dell’umorismo” tra le cose da fare…