ATTENZIONE: l’articolo contiene ENORMI spoiler su Ready Player One. Sapevatelo.
Sono entrato al cinema a vedere Ready Player One con la speranza di vedere il film definitivo sulla cultura pop&nerd anni ’80/’90 e possibilmente levarmela dal cazzo. Non che abbia un particolare problema col riferirsi costantemente a contenuti, forme ed estetiche di quegli anni, ma mi sarei anche rotto le palle di avere una massificazione dell’intrattenimento per cui o conosci certe serie/videogiochi/giochidatavolo/film oppure sei fuori. Questa ridicola arrampicata all’indietro nel tempo per cui ogni infanzia diventa un eden d’innocenza colmo di oggetti magici. E non parlo di gettarsi in un futurismo decerebrato. Però sarà un caso che se vi chiedessi di darmi il nome di 10 famosi personaggi di fantasia inventati negli ultimi 20 anni voi avrete difficoltà a trovarne anche solo la metà. Parlo della maturazione di un immaginario collettivo adatto a intraprendere il presente, non solo a commentarlo in chiave postironica.
Il nerdismo, in quanto egemonia conformista dell’intrattenimento per cui se non conosci la prozia dell’Uomo Talpa o la strada per arrivare a Sputolandia allora non sei degno di partecipare al suo pasto frugale, ha rotto fantasticamente il cazzo. Il Commodore 64 era bello non perché faceva ricordare ma perché faceva sognare. L’ansia di presente di quei tempi si è trasformata in una fuga nel passato dei nostri. E tornare in un posto non è mai come esserci la prima volta. Ready Player One prometteva appunto di farsi un grande viaggio all’interno della soffitta dei giochi, con relativa scorpacciata di citazioni e strizzatine d’occhio, tale, si suppone, da soddisfare finalmente quella smania di tempo perduto che ci anima, per aprire così la porta a qualcosa di nuovo, fosse anche un nuovo passato, magari libero, invece del solito burocraticamente regolato e regimentato dalla precisione nerd. E in questo senso il film ha mantenuto le sue promesse. Ma non solo, ha fatto di più. Ha effettivamente intrapreso il presente. Lo ha fatto in America, ma involontariamente e casualmente ha dato una rappresentazione di qualcosa di molto rilevante anche per l’Italia: il Movimento 5 Stelle.
Un creatore visionario e sociopatico, assieme ad un partner più simpatico, dà vita ad un sistema di realtà virtuale che vuole essere un miglioramento della realtà reale. Questa realtà virtuale però solo in apparenza risulta libera, ma in verità è regimentata da rigide regole, ha una sua gerarchia, ha un sistema premiante al suo interno. Ciò che conta infatti non è quanto la realtà virtuale sia effettivamente libera, quanto il fatto che liberi dalla realtà precedente. La ricostruzione dell’identità, la possibilità di cambiare, il fattore di cambiamento che questa tensione imprime. Ready Player One racconta, senza volerlo, la vita all’interno del Movimento 5 Stelle. Ancora di più, ne racconta il sogno, l’utopia e la distopia. Compreso l’incubo per fantomatiche multinazionali viste curiosamente in maniera antagonista a sistemi totalitari, in quello che è forse il vero conflitto del presente. Gianroberto Casaleggio è un James Donovan Halliday, talmente affezionato alla sua creatura da fondersi simbioticamente con essa, al punto da non essere mai distinguibile nel suo essere individuo o parte del proprio gioco. Un gioco chiamato Oasis, piattaforma stile Second Life dal nome stucchevolmente evocativo quanto per esempio lo era la Gaia di Casaleggio, calata in un mondo privo di altre valide istituzioni, e le cui regole sono rigide ma volubili, e nei termini delle quali si nascondono scappatoie vincenti. Insomma, ancora una volta, il Movimento 5 Stelle. C’è solo un’apparente differenza: in Ready Player One la vita su Oasis si basa su una competizione che designi un vincitore assoluto che diventi leader e proprietario del sistema. Gioverà invece ricordare come prima della certificata proprietà dei Casaleggio, la riconosciuta potestà di Grillo e la sancita leadership politica di Di Maio, il Movimento si presentava come forza priva di leader. Perché? Perché al suo interno si doveva ancora tenere la competizione di cui sopra. Questo nel partito è avvenuto in qualche anno, il film necessariamente doveva durare di meno. Immaginatevi Luigi Di Maio come il vincitore della grande corsa alle tre chiavi, con al suo fianco la Taverna, Fico e tutto il router magico.
E il rapporto col passato? Ready Player One sovraespone ciò che il Movimento 5 Stelle nasconde, ed in entrambi i casi siamo davanti ad un’operazione di rimozione acritica. Risulta evidente come la cultura pop&nerd di Ready Player One sia una sua versione enciclopedica e posticcia ad uso e consumo di una ricezione indistinta. Il “ce n’è per tutti i gusti” del citazionismo, che equivale alla richiesta di superamento di categorie come fantasy, sci-fi e horror, e di sottoculture come quella dei videogame, dei giochi di ruolo e dei fumetti, già ampliamente verificatosi nei prodotti culturali degli ultimi 20 anni, non è dissimile da un’ideale di superamento delle ideologie, in cui non sono i generi a importare, ma gli elementi narrativi. “Valuteremo caso per caso” sembra diventare “Ricorderemo cimelio per cimelio”. Rimane ora una domanda: come andrà a finire?
(Ve lo ri-diciamo perché siamo buoni: ENORME SPOILER NEL PROSSIMO PARAGRAFO)
Nella maniera più democristiana possibile, e non parlo solo del film, in cui, spoiler, invece di una restaurazione emotiva effettiva, (ricordate i Goonies, in cui tutto si muove perché mancavano soldi e alla fine i soldi si trovano, pur lasciandosi sfuggire il grosso del tesoro?) c’è una restaurazione dell’ordine stabilito successivamente ad una forma di rivuoluzione, con un gruppetto di ragazzini di belle speranze che prendono il posto di comando del più potente sistema sociale del mondo, in un passaggio di consegne asettico e burocratico che riporta l’immaginario ad un’epoca pre-Golding e il suo Signore delle Mosche. O se vogliamo all’ideologia prepolitica del Movimento 5 Stelle.
Ma il gioco di specchi fra Ready Player One e Movimento 5 Stelle è appunto un gioco, per di più fatto sfruttando delle coincidenze. Ma non è così assurdo pensare che qualcosa ci sia nell’aria americana, anche se è bene ricordare che il libro originale è di un inglese, un cosiddetto sentiment politico che è stato in qualche modo captato o rappresentato dal film. Facile sarebbe per esempio affiancare Oasis a Facebook, un luogo virtuale in cui si svolgono relazioni reali e che lentamente si è sovrapposto al piano classico della realtà. In questo senso Facebook, per il suo recentemente molto discusso piano economico sembra essere un Oasis nell’ipotesi in cui la competizione l’avesse vinta la IOI, multinazionale che nel film minaccia la gratuità e libertà della piattaforma. Curioso il fatto che proprio in questi giorni Facebook sia sotto la l’occhio dell’amministrazione e della politica americana e non solo, per la sua capacità di influenzare voto e opinioni degli elettori. Curioso anche il fatto che nonostante si parli di sistemi onnipervasivi mondiali e di multinazionali, in Ready Player One non si menzioni mai in nessun momento alcuna traccia di governo, o istituzione anche sovranazionale. Tanto che viene da chiedersi in nome di cosa ad un certo punto, interverrà una fantomatica polizia nel più classico dei finali a stelle e strisce. Quanto è perfettamente opponibile nell’orizzonte dell’immaginario un altro lavoro di fantascienza sempre ambientato negli anni ’80, sempre scritto da un inglese, come 1984?
Perchè è affascinante pensare che viviamo in un periodo in cui la più potente democrazia del pianeta si confronta con la più potente multinazionale tecnologica, in un momento in cui proprio il sistema politico sta vivendo un crollo di autorevolezza e fiducia da parte degli elettori. Cosa succederebbe infatti se una piattaforma come Facebook, al pari per esempio di un’emittente televisiva o di un giornale, decidesse di sponsorizzare questo o quel movimento? O ancora meglio, se decidesse di crearne uno? Se è vero come sembra che internet nel suo complesso è diventato lo strumento principale della nuova formazione di coscienza e organizzazione politica, cosa potrebbe succedere se un social network venisse usato direttamente, come per esempio è avvenuto col Movimento 5 Stelle dei meetup, per creare un soggetto nuovo che si muovesse al di là degli storici schieramenti e con un approccio fortemente comunitario, egualitaristico, ma in fondo comunque totalitario, al grido di onestà, onestà? E se tutto questo succedesse negli Stati Uniti d’America? Ready player one?
[Franco Sardo]
Giusto per la precisione, che il pezzo e’ davvero notevole: il Signore delle mosche e’ di Golding, non di Kipling.
Grazie mille per la (giustissima) precisazione: correggiamo immediatamente.