Un deputato regionale, al quarto mandato, è stato indagato per voto di scambio.
Eccoci qui all’ennesima situazione che non ci stupisce e che ci dovrebbe stupire, se non fosse che in effetti è giusto che non ci stupisca.
Un politico che si fa beccare ad imbrogliare, trafficare e mafieggiare. Normale come un rap di Jon Lajoie.
Intanto, sempre nella nostra amatissima patria, il fratello imputato del presidente di Assobalneari ammette candidamente di aver minacciato una giornalista.
E un calciatore dell’amatissima nazionale, già coinvolto in situazioni di associazione a delinquere, colpevole di falso in atto pubblico e indagato per scommesse illecite, si lamenta con convinzione per non essere stato favorito in una partita importante.
Un campionario gentiluomini che fanno grande il paese, mentre una mandria di giovanotti vestiti come zingari, e altrettanto acculturati, lo traina con la forza della convinzione.

Non proprio le migliori premesse per andare lontano. E nemmeno per andare tanto bene.
Il fatto è che ci siamo abituati ad una serie di concetti piuttosto fuorvianti rispetto alle necessità basilari del progresso, come l’idea di essere tutti speciali.
Se siamo tutti speciali non riusciamo ad accettare l’esempio del prossimo, perché dovremmo ammettere che sia migliore di noi, e non semplicemente “diverso”. Al limite potremmo invidiarne i risultati, ma non certo le capacità, né pensare che il suo eventuale impegno possa essere di qualche valore.
Per un cambiamento non troppo drastico rispetto a questo vizio, potremmo iniziare a prendere in considerazione l’idea di ritenerci “diversamente speciali”, e seguire un nostro percorso premurandoci solo che non sia fatto di fermarci a cagare ogni cinque minuti sulla corsia di sorpasso.
D’altra parte non siamo nemmeno abituati a pagare per i nostri errori, o comunque non ci sembra giusto farlo, perché più spesso notiamo chi la scampa o perché pagare non piace a nessuno (altrimenti chi perderebbe tempo a rimorchiare?). Come ci mostra il grandissimo numero 1, chi ti fa una multa proprio quando ti eri accomodato in doppia fila, ha una pattumiera al posto del cuore.
Più che un insegnamento, un legame empatico. Ma ogni tanto potremmo provare a dire “cazzo, è colpa mia”, anche senza pensarlo davvero, così, per il gusto del dubbio.
E della coprolalia.
Così, senza esempio né errore, imparare diventa difficile; se ci aggiungiamo la pigrizia foraggiata dalla tecnologia e la curiosità soddisfatta di poco, abbiamo la ricetta cotta e mangiata dei coglioni che siamo.
Voilà
[D.C.]