La cultura italiana devastata da un pompino in un peplum.

 

Non è neanche una settimana che abbiamo aperto Aia Furibonda – il gruppo Facebook legato a questo blog – e già mi approfitto delle discussioni nate al suo interno per scrivere un articolo. In particolare, è nata una discussione abbastanza animata sulla figura di Carlo Vanzina, recentemente scomparso, per qualcuno ampiamente responsabile del decadimento culturale della nazione, per altri semplicemente un regista mediocre che ha solo puntato al soldo facile, per altri ancora il responsabile di pellicole diventate, nel bene o nel male, film di culto per amanti del genere.

Adesso non prendetemi per il culo, ma io sono laureato in cinema. E tutti gli studenti di cinema della mia generazione conoscono la seguente “leggenda”: avete presente “SPQR – 2000 e 1\2 anni fa”, il film del recentemente scomparso Carlo Vanzina? Il film con Boldi, De Sica e un confuso Leslie Nielsen segna un passaggio importante nella storia dei cinepanettoni: è quello in cui si abbandona ogni riferimento alla commedia all’italiana (riferimenti che andavano a onor del vero scomparendo di film in film) e si passa a un mix incontenibile e ininterrotto di parolacce e scoregge alternate malamente a gag fisiche grossolane dotate di scarso brio. Ebbene, si narra che quando sullo schermo della prima comparì quest’iconica scena, simbolo indiscusso di tutto il film, la sala esplose in una risata fragorossissima.

Mettetevi ora nei panni di Aurelio De Laurentiis, il produttore. Siete più o meno consci di aver probabilmente passato il segno con questo film, che a livello di contenuti – e contando la vicinanza temporale con quel terremoto che fu Mani Pulite – è quanto di più vicino a un abete di luoghi comuni addobbato con maleodoranti fortori e insulti sessisti. Avete scritturato Leslie Nielsen per fargli fare una parte che avrebbe potuto fare Ezio Greggio. Il film non offende davvero nessun potente, anzi, è l’archetipo del cinepanettone descritto magnificamente da Tirabassi in Boris; i riferimenti alla vita politica nazionale non ci sono se non in blandissime battute che di politico non hanno nulla, figuriamoci di realmente satirico, anzi, sono quasi assolutorie. Forse, nei panni di De Laurentiis, vi eravate anche cacati un po’ sotto nel timore di esagerare con la volgarità, perché – come disse Carlo Vanzina in un’intervista contenuta nel libro “Fenomenologia del cinepanettone” di Alan O’ Leary, di cui vi consiglio la lettura – “la pompa è stato il momento in cui si è passati oltre”.

E poi il miracolo. La gente ride. Applaude scomposta. Si alza in piedi.

Qualche intellettuale si incazzerà pure, certo, ma il pubblico esplode. Il film incassa quasi venti miliardi di lire, gli viene dedicato uno spin-off sotto forma di serie tv, e soprattutto getta le basi per il successo stratosferico dei successivi cinepanettoni, anch’essi prossimi al grado zero della comicità.

“Da quel momento lì”, racconta sempre Vanzina riguardo alla famosa scena della pompa, “il produttore De Laurentiis ha pensato che il successo era dovuto solo a quello, quindi ha puntato molto su quella roba lì e ha dimenticato il resto”.

Che è un po’ quello che è successo in generale al genere comico popolare, e non solo in Italia (fate un paragone fra i capostipite del genere e i nuovi film demenziali come Meet the Spartans senza piangere, se vi riesce). Perché questa è una cosa che succede, a seconda di come cambia la società.

Voglio dire: ve li ricordate, il primo e il secondo Fantozzi? I film di Salce sono insieme feroci, dissacranti, patetici, grotteschi. Aprono diversi squarci sulla società italiana a colpi di satira (non sempre per forza politica, ma spesso azzeccata). Tutto questo alternato a gag di stampo slapstick che ne costituiscono la parte più leggera, che poi è l’unica che sopravvivrà di seguito in seguito, quando la serie passerà in mano a Neri Parenti: a ogni nuovo film su Fantozzi si perdeva un pezzettino della satira sociale iniziale e lo si sostituiva con una padellata in faccia o una caduta in una fontana (magari riciclata da Fracchia, il fratello inutile di Fantozzi). La trasformazione di Fantozzi da antieroe tragicomico a sfogatoio della crudeltà del pubblico è iniziato al più tardi nel 1983 (già nel 1980 per chi scrive), ben prima dei cinepanettoni, attraverso una crisi che ha colpito a più livelli la commedia all’italiana.

Si può ragionare anche al contrario: vi ricordate com’erano i gay nei film degli anni ’50? No? Beh, per forza, non c’erano. E negli anni ’60? Praticamente inesistenti, se si esclude Lawrence of Arabia. Ma poi, negli anni ’70, cambia qualcosa. Arrivano i film: non tanti, ma arrivano, di pari passo con una maggior consapevolezza delle persone rispetto all’esistenza dell’omosessualità. “Visto? I film hanno portato all’attenzione delle masse il problema dell’integrazione”, diranno in coro alcuni lettori. Ma anche no. I moti di Stonewall a New York City hanno portato all’attenzione delle masse il problema dell’integrazione.

Negli anni ’80, prima metà, i film che parlavano di omosessuali erano quasi tutti “buoni”, volti a sensibilizzare, anche perché nel frattempo era saltata agli onori della cronaca la piaga dell’AIDS (che, all’inizio, veniva vista come “malattia dei gay”). Ma poi arrivarono i movimenti anti-gay, spesso fortemente sostenuti da associazioni cattoliche e di destra, e hop! il cinema della seconda metà degli anni ’80 dipinge gli omosessuali come macchiette, qualcosa da deridere, al limite da compatire, quasi mai “persone” uguali alle altre. Sono i film che hanno fatto nascere le associazioni omofobe, o sono le associazioni omofobe che hanno cambiato toni e modi dei film?

Insomma: un film, soprattutto se commerciale, difficilmente “anticipa” o “imposta” la società. Semmai la segue. Al massimo la legge “in tempo reale”. Può alla lunga contribuire a rafforzare un immaginario comune o un concetto, giusto o sbagliato che sia, ma non ne è certamente il motore: sarebbe naif attribuire a Natale sul Nilo (o a Striscia la Notizia sul versante televisivo) la paternità del decadimento culturale italiano. In quegli anni Letizia Moratti faceva passare il concetto per cui non esiste “l’obbligo scolastico” e non è compito dello Stato istruire tutti i cittadini secondo le loro possibilità, trasformando l’istruzione in un “diritto-dovere” del singolo a suon di tutor e di finanziamenti alle scuole private, fra una riduzione dell’orario scolastico e una virata verso il nozionismo. Altro che le scoregge nei cinepanettoni: quelle sono una conseguenza, anche se sul lungo termine possono aver contribuito al processo.

Insomma, non facciamo l’errore di vedere, in un regista che sapeva intercettare i gusti di persone sempre più inclini a un umorismo à la “Ow, my balls”, un visionario in grado di indirizzare le masse verso l’inabissamento culturale: se proprio vogliamo accusarlo di qualcosa, e posto che l’accusa andrebbe fatta anche a chi i film li produce, e a chi li scrive, possiamo accusarlo non tanto di essere colpevole, ma al limite di essere un po’ complice. Anche perché se è vero che i Vanzina sono stati i padri del cinepanettone, è altrettanto vero che già da diversi anni Carlo aveva mollato il filone, (in)opportunamente sostituito da un esercito di Brizzi, Parenti e Oldoini rapidissimi a raccoglierne un’eredità ancora più esasperata.

A me Carlo Vanzina non piaceva, e trovo legittimo pensare che abbia contribuito, seppur per il poco concessogli dal suo ruolo, a impoverire la cultura (e la cultura dell’umorismo in particolare) in Italia, nonché a promuovere atteggiamenti sessisti e omofobi. Ma non era niente più di un regista commerciale che ha accompagnato la società nel proprio inabissamento culturale, non certo il genio del male che ha provocato la falla nello scafo.

Insomma, anche se proprio non riesco a vedere la morte di Carlo Vanzina come un disastro per la storia del cinema, credo che sia stato più una comparsa che un protagonista nel processo di degrado culturale e umano del nostro paese. Credo sia giusto rispettarne umanamente la morte, e se proprio si deve evidenziare cosa non ci piace del suo lavoro, cerchiamo di non attribuirgli con leggerezza colpe eccessive, perché la causa del male culturale che ci affligge non è certo una battuta sulle pompe di De Sica.

[Marco Valtriani]

5 risposte a "La cultura italiana devastata da un pompino in un peplum."

  1. Ma dai! Laureato in cinema!
    Massimo rispetto – e si vede dall’articolo che sai di cosa parli.
    Ti segno tra quelli con cui discutere di cinema, finalmente! (e di cui ascoltare il parere)

      1. Se consideri batman Vs superman il capolavoro assoluto sappi che altri mi hanno già stupito in negativo con questa bestialata. A parte questo possiamo scornarci su un sacco di cagate

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