Come fare, come fare, a ignorare l’ingombrante sagoma di Salvini che gioca a fare il premierino sputando vaccate su qualsiasi cosa, cercando di impressionare gli italiani in modo che lo votino un po’ di più (diciamo quanto basta a guidare da solo un Governo di centro destra, senza l’appoggio dei cinque stelle)?
Come fare a non parlare di razzismo, quando nel giro di un mese ci sono state almeno sei aggressioni di stampo razzista sul suolo italiano, spesso opportunamente relegate nelle colonne laterali dei quotidiani, in mezzo a un gattino buffo che non immagineresti mai cosa riesce a fare con un secchio pieno di piscio e all’articolo che, travisando completamente l’ennesima ricerca su un alimento, ci informa che chi s’infila i wurstel nel culo anziché in bocca ne apprezza meno il sapore, ma più la consistenza?
Il razzismo ora come ora è il piatto forte, ma si potrebbe anche parlare dell’omofobia, visti i recenti “insulti via scontrino” arrivati a una coppia gay rea di aver chiesto di sostituire il pecorino col parmigiano essere una coppia gay, o di sessismo, che ce n’è sempre un po’ nell’aria, soprattutto negli ultimi mesi. Eppure, anche così si ha l’impressione di giocare di rimessa, o in una sorta di contropiede che non diventa goal.
Recentemente è tornato all’onore delle cronache, tramite diverse condivisioni, il video sull’intervento della Sea Watch che, a causa delle azioni della Guardia Costiera Libica, portò alla morte di decine di persone. Ecco, nel rivedere il video, nel rivedere i militari libici calciare gente giù dalle spallette della loro nave, mi è venuto in mente che forse questo è un tasto su cui bisognerebbe battere un po’ di più: non le morti in mare, di quello già si parla, e per fortuna, ma di un concetto che vedo poco “menzionato” e che secondo me dovrebbe essere centrale, ossia il concetto di “persona” (o di “essere umano”, o “individuo”, se preferite).
I morti in mare, prima che migranti, sono persone. Le vittime di attacchi razzisti, omofobi, sessisti, quel che volete, sono persone. Bisogna impegnarci affinché nella mente della gente, soprattutto di quella spaventata o arrabbiata (e non irrimediabilmente merda, che ci sono anche quelli, ma non so se sono recuperabili) sia chiaro che si parla sempre di persone. Carnefici e vittime sono persone, con la differenza che gli uni compiono un’ingiustizia, gli altri la subiscono.
Con questo non voglio dire, ovviamente, che siano sbagliate le iniziative volte a ribadire e legittimare l’identità di questo o quel gruppo, categoria o minoranza, ci mancherebbe, ma che è necessario far capire – per esempio – che quella offesa nel bar di Roma è stata una coppia. Una coppia di persone. Il fatto che fossero gay è ovviamente il movente del gesto incivile, ma la cosa che dovrebbe farci incazzare (e che va fatta notare a chi non ci arriva) è che quelle persone sono state offese da qualcuno che voleva impedire loro di essere come sono. Se una coppia etero, magari perché vestita in modo eccentrico o perché di colore viene offesa da un commerciante, o da un passante, fa lo stesso: è sbagliato insultare e discriminare. Chiaro, no?
Fare un passo indietro, verso le basi, è secondo me importante perché di norma le cose brutte sono brutte per tutti, ma si pensa sempre che alcune capitino solo agli altri. Uno stupro è aberrante chiunque lo subisca, e chi stupra è una merda indipendentemente da qualsiasi altro fattore. La discriminazione dei ragazzi di Roma non è diversa da quella che avrebbe potuto subire una donna, un disabile, un punk, una donna con l’hijab o una persona in sovrappeso. Certo, la base è l’omofobia e nelle sedi opportune è giusto sottolinearlo – anche perché siamo un paese “indietro”, da questo punto di vista, non avendo una legge contro quel tipo di discriminazione – ma in primis c’è una persona che ha deciso di offendere altre persone perché non gli andava giù qualcosa. Così si individua rapidamente chi è la vittima e chi il carnefice.
Si giudicano le azioni, non le persone. Mi pare d’averlo già detto parlando sia di razzismo che di sessismo, e come me sono sicuro che altre rubriche avranno tirato fuori lo stesso concetto in un modo o in un altro. Insomma, oggi mi va di parlare di questo, di iniziare – nel nostro piccolo – a usare sempre di più la parola “persona” e sempre meno una delle sue caratteristiche, proprio come esercizio mentale. Figuratevi che io provo a farlo anche con le dichiarazioni di questo o quel politico o personaggio: mi chiedo “Ma se l’avesse detto uno che stimo? O uno che odio? Reagirei allo stesso modo?”
Ecco, si può fare anche con le vicende di cronaca, personalmente mi aiuta molto a mettere a fuoco l’opinione che sto cercando di formarmi in testa. Provate coi titoli dei giornali.
“Sparatoria contro persone in Calabria, una persona morta ed altre due ferite”
“Roma, persona 21enne picchiata dal branco”
“Stupra una persona mentre dorme, 26enne si giustifica: sono bipolare”
“Persona seviziata con il ferro da stiro ad Albano: arrestate tre persone”
Ribadisco che ogni aggravante o attenuante non è che deve scomparire, ovviamente nell’approfondire ogni caso si andranno ad analizzare anche eventuali discriminazioni, motivazioni e quant’altro: il “gioco” serve come “analisi preventiva” a far capire immediatamente dove sta la vittima e dove il carnefice e a far capire alla persona con cui stiamo parlando che sarebbe potuto capitare anche a lui o lei, magari cambiando qualche dettaglio.
Nella prima notizia il morto e i feriti erano migranti, l’aggressore italiano, ma anche a parti invertite sarebbe rimasto quel che è: un omicidio a sangue freddo. Il morto, che poi è il sindacalista del Mali di cui abbiamo già parlato è la vittima, l’aggressore è il carnefice. Non è difficile, no?
Nel secondo caso la vittima era un omosessuale, ma se un gruppo di persone si accanisce contro una più debole non è sempre sbagliato, indipendentemente da sesso, orientamento sessuale, razza? L’aggredito è vittima, il branco carnefice. Anche se fossero stati quattro omosessuali che menavano un etero, non cambia nulla (o meglio, cambia: vi immaginate i titoli?).
Il terzo titolo riguardava il caso in cui una donna ha stuprato un uomo: cambia qualcosa, adesso? Se avete cambiato idea dopo aver saputo questo dettaglio, Houston, abbiamo un problema.
L’ultimo caso, invece, riguarda una donna seviziata da due donne e da un uomo, dettaglio però abbastanza irrilevante: tre merde hanno seviziato una vittima in modo atroce (oltretutto dopo averla costretta a prostituirsi), fine. Non è il sesso a determinare se uno è una merda o no, sono le azioni che compie.
Insomma, oggi mi andava di parlare di questo, un “trucco” forse banale, ma che mi piacerebbe veder applicato più spesso, non solo dalle persone comuni, ma soprattutto di chi si occupa di comunicazione e informazione.
Buona settimana!
[Marco Valtriani]
Bel post e bella idea!
Stavolta però non ribloggo finché non avrò postato qualcosa di mio, sennò la sensazione di essere sempre più un megafono mi fa calare l’autostima – e già non parto avvantaggiato.