Il vignettista delle “ultime parole famose” della Settimana Enigmistica, Bort, è morto a 92 anni.
Tenevo quelle vignette come fossero il dolce dopo il pasto, conservandole ad ogni numero, cercando fin da piccolo di gestire quella preziosa risorsa nell’arco della settimana, o fin quando sarebbe arrivato il nuovo numero a casa (dove l’avremmo chiamata la Mesata Enigmistica, date le doti familiari).
In realtà tutto il resto della rivista lo sfogliavo per prendere tempo, quelle erano praticamente la mia unica attività sulla Settimana Enigmistica.
Oggi scrivo qui.
Erano in molti, come me, a vivere così quella prima opportunità di libertà, quella prima scelta, quella prima scintilla di curiosità cerebrale, a una decina d’anni preferivamo le battute di un sessantenne all’ingegno di un semplice gioco di parole.
Vent’anni dopo le zinne di Berlusconi dominavano il paese e nei negozi spopolava la tombola sottotitolata.
In nessun modo questa intende essere una critica a quella splendida forma d’arte, né al lavoro del mitico Bort, ma dovremmo imparare a leggere i segnali che questi “termometri dell’essere” svelano con estrema semplicità. Perché sebbene potesse sembrare accettabile da bimbi sbuffare sulle chiacchiere di Super Quark e smaniare per sentire “Beruscao-ao-ao”, qualcosa o qualcuno avrebbe dovuto aggiustare il tiro e fare una selezione. Insomma: rupe o ruspa.
Ma in fondo credo che la selezione sia stata fatta.
Con un vocabolario sempre più striminzito colpito dalla messagistica istantanea, dall’incapacità scolastica, dai media semplificatori, e da termini di moda come il moderno “analfabeta funzionale“, l’unica cosa che rimane è una pseudo simpatia trasmessa tramite JPG.
Una comunicazione distaccata in grado di farci ridere financo dei bimbi morti affogati e di quelle merde che ne godono, ma che ci rende talmente lontani da essere quelle merde che se ne fottono.
Il risultato è che quando parliamo di noi per lo più non abbiamo idea di cosa stiamo parlando, l’altro è più alieno di un plutoninano in vacanza su Alpha Centauri, gli altri sono dei fantasmi, o dei nemici, nella migliore delle ipotesi.
Trasmettiamo interi concetti con una mezza immagine, ma non sappiamo che cazzo dire, aspettiamo che accada qualcosa per urlarlo con questa poesia muta e volgare che ci arricchisce come un trionfo di stipsi.
Così oggi scrivo una frase alla volta, paragrafi brevi, un po’ per venire incontro alle mie facoltà, un po’ per creare fastidio; perché in questa mediocrità comunicativa stiamo trovando la nostra zona di conforto, e se non ci rode il culo non ne usciremo più, perdendo non tanto il linguaggio, perché troveremo sempre un modo per comunicare, ma il senso, la pazienza di pensare a ciò che dobbiamo dire, e perché. Perché. Perché cazzo dobbiamo sempre parlare, esprimerci senza essere, mostrando solo il grosso buco di culo che è la nostra mente.
Sarà per questo che oggi, alle battute di un sessantenne, preferisco un semplice gioco di parole.
[D.C.]
Biglietteria della stazione:
– Buongiorno, mi dica
– Due per Trento
– Sessanto
Me la ricorderò per tutta la vita, grazie Bort!