Ci rubano il lavoro.

anovantagradi

La nostra mente tenta costantemente di proteggersi e proteggerci. Uno dei meccanismi da essa adottati per cercare di ridurre il dolore che l’attanaglia è la rimozione, che consiste nell’inconsapevole cancellazione di un ricordo o esperienza particolarmente traumatici. Che è il motivo per cui, spesso e volentieri, mi dimentico che esiste ancora L’Unità.

Per diverse ragioni non sono mai stato un fan sfegatato del giornale fondato da Gramsci e rimasto fino ai tardi anni novanta l’house organ del PCI prima, e del PDS poi. Ma lo era mio padre, e in casa mia non è mai mancata una copia dell’Unità. Nonostante io leggessi prevalentemente altro, però, sono sempre stato affascinato dalla potenza di alcuni articoli, dalle analisi lucide degli scenari politici, dagli approfondimenti sugli argomenti principali. Dalle meravigliose vignette di Ellekappa e Altan, e da quelle di Vauro quando era ancora il Vauro che piaceva a me. E gli allegati. Capolavori del cinema in VHS e, prima, classici della letteratura in formato tascabile. Che, oltretutto, erano un modo per farsi una libreria ben fornita a un prezzo irrisorio. Altri tempi. Altro giornale.

Ok, scusate. Adesso, per risollevare le sorti dell’articolo che ha preso una piega malinconica, eccovi un’immagine volgare ad uso sfottò (o anche “quello che Ezio Greggio chiamerebbe satira facendo rivoltare Lenny Bruce nella tomba”).

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Matteo Renzi che scoreggia troppo forte e si caca addosso.

(che poi boh, io ‘sta cosa della satira devo ancora capirla, questo blog sta alla satira come una scorreggia sta a un temporale, e io quando tutti si sentivano vicini a Wolinski di Charlie Hebdo mi sentivo più prossimo a Paperoga del Papersera, quindi sospendo il mio giudizio sull’argomento.)

Cosa stavo dicendo? Ah, sì: l’Unità. Dunque. Dopo l’elezione di Virginia Raggi, è uscito un pezzo sul Giornale Una Volta Noto Come L’Unità™ che mi ha fatto gonfiare le palle così tanto che a confronto le palle che spara il blog di Grillo sono articoli di Le Scienze.

L’articolo, dal titolo “Ritratto di Virginia la Valanga”, lo trovate QUI. Premettiamo l’unica nota positiva in tutta la vicenda: l’articolo esce nella categoria “opinioni”. Che è quella sezione del sito in cui compaiono articoli che se avessero dei titoli onesti si chiamerebbero “Perché Renzi ha ragione”, “Perché D’Alema ha torto”, “Com’è bravo Renzi” e “Renzi TVB <3”.

In questo caso, però, l’articolo non è un’apologia del premier più amato dagli italiani di sinist centrosinis centrocentrosini moderati, ma un j’accuse fortissimo contro il\la sindac* di Roma. La domanda su cui l’articolo poggia è questa:

“Chi è veramente questa dark lady che immaginiamo sempre in nero che ha sbranato il Pd di Roma, un po’ una Bette Davis senza magnetismo, chi è questa romana di Roma Nord dall’accento strascicato e l’aria imbronciata-annoiata di chi ha tirato tardi e staccato il telefono?”

Eh?

Aspetta. Virginia Raggi “dark lady sempre in nero”? “Bette Davis”? Sento puzza di fantasie sessuali represse. Capisco che la Raggi sia una bella donna, il capello corvino fa la sua scena, ma stiamo davvero uscendo di testa.

Per comodità, faccio partire un paio di immagini.

Questa è Virginia Raggi:

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E questa è Bette Davis quando faceva la Dark Lady:

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Mo’, con tutta la fantasia di questo mondo, ma chi cazzo è che vede la Raggi come una conturbante e infida femme fatale? Semmai, la candidata del Movimento 5 Stelle ha fatto di tutto per ammantarsi di un’aura di semplicità e schiettezza, che si è peraltro rivelata vincente. Al netto delle perplessità di chi scrive sulla sua abilità come amministratrice, che comunque dovranno passare attraverso i fatti per essere confermate o smentite, il successo della Raggi – e di riflesso del suo modo di porsi – non è contestabile, un po’ come la figura di merda di Adinolfi nell’ambito delle stesse elezioni. No, scusate, un po’ come la figura di merda di Adinolfi in generale, con “figura” intesa proprio come “aspetto esteriore di qualcosa”.

Ma l’opinionista del Giornale Una Volta Noto Come L’Unità™ non si ferma qui, e rincara definendola “questo diafano simil-fantasma del Louvre che non ha voglia di leggere romanzi magari immaginati pallosi”.

Thunk. Scusate, di nuovo le palle. A parte che non puoi desumere i gusti letterari di qualcuno solo perché ha detto che il suo libro preferito è “il Piccolo Principe” (manco avesse detto “Scusa ma ti chiamo amore” di Moccia), direi che anche qui c’è qualche problema a livello visivo.

Ancora, Virginia Raggi, vediamola di nuovo:

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E questo è il fantasma del Louvre:

raggi3

Ma dico, almeno alla fine dell’articolo dimmi chi è il tuo spacciatore! Questi raffinatissimi parallelismi cinematografici, calzanti come una maglietta di Che Guevara sul torace di Rauti, sono seguiti da un’analisi del comportamento della Raggi pre-elezioni che, anziché puntare il dito sulle criticità della sua campagna elettorale, la attacca continuamente sul piano personale; come se essere un po’ “squalo” in politica non fosse tollerato, ammesso, a volte auspicato. Cristo, uomo, scrivi per il giornale del partito di Renzi! Renzi, quello della rottamazione. Quello di “Letta stai sereno”. Quello di “non governerò senza prima passare per le urne”. Quello di… via, su. Renzi.

La Raggi viene definita come una che ha “macinato, seminato, incassato, schivato, mentito, picchiato”: parole a caso. Una specie di esercizio di stile alla Pennac, senza Pennac. E anche senza stile. Carenza confermata dalla frase successiva: il\la sindac* di Roma fa tutto questo “aggiustandosi con grazia i bei capelli neri con inevitabile comparsa dell‘orecchio a sventola”. Seriously? Hai davvero citato il fatto che ha le orecchie a sventola? Dio, adesso sì che è spacciata, con un argomento del genere.

Se questo è il tenore degli attacchi che la Raggi deve aspettarsi, può dormire serena. Insomma, non so se lo scopo dell’opinionista del Giornale Una Volta Noto Come L’Unità™ sia quello di togliere il lavoro a gente come me, che poi neanche mi pagano mannaggiacristo, ma gli consiglierei nell’ordine di rivedere due o tre cosette:

  1. Anche il perculare deve basarsi sui fatti. Altrimenti non è un’opinione, è proprio una stronzata.
  2. Ricordare sempre che un attacco non supportato da dati o logica ha come risultato il far risultare simpatico l’attaccato. Dico: sto scrivendo un pezzo a favore di una cinquestelle, quanto cazzo puoi aver cacato fuori dal vaso per farmi fare una cosa del genere?
  3. Un bel ciclo di analisi o, come alternativa economica, più masturbazione. Questa fissa con le dark lady, i grandi occhi neri e i bei capelli aggiustati con grazia dev’essere contenuta.

E via. Non me ne voglia l’opinionista del Giornale Una Volta Noto Come L’Unità, che immagino essere un professionista che si è solo lasciato un po’ andare (non sono sicuro dei dettagli perché non ho capito bene la pagina “info” del suo blog), ma questi articoli non hanno senso, se non quello di confondere le acque (e le idee) anche di eventuali sostenitori o potenziali elettori, scadendo peraltro spesso nello sfottò fatto male e nell’accusa immotivata.

Insomma, se proprio vuoi rubarmi il lavoro, almeno fallo bene.

[B.K.]

4 risposte a "Ci rubano il lavoro."

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